Perché leggere questo articolo? I condoni sono il collante dell’unità politica nazionale? Anche Meloni valuta la sanatoria sui contanti. Una misura che, come le 83 precedenti, crea distorsioni economiche sul lungo periodo ma sono adottati da ogni esecutivo senza distinzione di colore politico. Segno di visioni poco lungimiranti. E costose: negli ultimi 10 anni abbiamo perso circa 60 miliardi di entrate fiscali.
Sessanta miliardi di euro: il costo dei condoni, in termini di mancato gettito, nell’ultimo decennio è pari a quello di due manovre finanziarie. In Italia tra remissioni volontarie, sanatorie e pratiche di tipo simile, quella che doveva essere un’eccezione sta diventando la regola. Una regola costosissima. Il portale True Numbers ne ha contati 82 nella storia d’Italia prima della nascita del governo Meloni. La sanatoria sulle cartelle esattoriali della manovra 2023 è stato l’83esimo, e ora il Corriere della Sera riporta che il governo Meloni sta valutando la possibilità di introdurre una voluntary disclosure sui patrimoni liquidi occulti. Ipotesi che al momento sembra poco percorribile, vista la secca smentita del viceministro, Maurizio Leo. E i precedenti tutt’altro che incoraggianti degli 83 condoni della storia della Repubblica Italiana.
L’ultimo dei condoni in arrivo con la manovra?
La proposta prevederebbe di consentire ai contribuenti di regolarizzare contanti e valori custoditi nelle cassette di sicurezza delle banche con un’aliquota unica del 23%. Una norma simile era stata proposta anche dal governo Conte I, ma all’epoca l’aliquota era del 15%. Il presidente dell’Ordine dei Commercialisti Elbano De Nuccio ha espresso preoccupazione per la possibilità che la misura possa essere utilizzata per regolarizzare proventi illeciti.
Il vice-ministro dell’Economia Maurizio Leo, che sarebbe indicato come il promotore della misura, ha smentito la notizia in una nota stampa, ma a Via Solferino sono convinti che il governo potrebbe evitare di metterci la faccia lasciando proporre la disclosure a un parlamentare della maggioranza in sede di approvazione della Legge di Bilancio con un apposito emendamento. L’obiettivo sarebbe quello di ottenere circa 10 miliardi di euro di risorse per rimpinguare le anemiche casse dello Stato. Pressate nel breve periodo dal rischio del ritorno del Patto di Stabilità e dalla “bomba” Superbonus.
Oltre ottanta condoni nella storia d’Italia
Ebbene, la storia insegna che quella dei condoni e delle sanatorie è una strada tutt’altro che positiva per il Paese. L’Italia ha di fatto promosso in media una misura di questo tipo ogni due anni dall’inizio della sua storia unitaria a oggi. “Dal 1861 al 1972 non si può, tecnicamente, parlare di veri e propri condoni fiscali i quali consistono nella possibilità data al contribuente di non pagare delle tasse o delle imposte dovute per legge”, nota True Numbers. “Tecnicamente si può parlare di sanatorie fiscali perché al cittadino è stata data la possibilità, appunto fino al 1972, di non versare sanzioni e/o interessi su tasse e imposte comunque pagate. Dopo quella data si è passati direttamente ai condono fiscale vero e proprio”, che riduce i gettiti ordinari delle misure o consente di uscire da situazioni illegali”.
Il fronte dei condoni è trasversale
A partire dall’inizio del nuovo millennio, sono molte le misure di condono di varia taglia promosse dagli esecutivi in carica. Destra e sinistra, moderati e populisti: tutti pazzi per i condoni. Non c’è differenza di colore politico.
Il governo Berlusconi II approvò nel 2001 lo scudo fiscale, seguito dalla sanatoria fiscale del 2003 (legge 289/2002). Le due misure avrebbero dovuto garantire 26 miliardi di gettito, undici anni dopo ridotti a 22 per la mancanza di 4 miliardi dal gettito complessivo. Il successivo condono, di nuovo denominato scudo fiscale, risale al 2009, con il governo Berlusconi IV, e ha garantito ingressi per 5,6 miliardi di euro di capitali.
Negli anni successivi, si segnalano altri quattro condoni. Nel 2015, il governo Renzi approvò la voluntary disclosure per l’emersione dei capitali all’estero: su 60 miliardi di euro di risorse emerse, ne andarono al Fisco 3,8. Nel 2018, il governo Conte I introdusse il “saldo e stralcio”, che prevedeva un avvio di “pace fiscale” con la riduzione di un debito tributario per soggetti in difficoltà economica su piccole cartelle esattoriali: debiti per 1,3 miliardi di euro furono trasformati in un gettito di 700 milioni.
I gialloverdi estesero nel 2018 le misure di rottamazione delle cartelle esattoriali consolidate dai governi Renzi e Gentiloni: la rottamazione 2016, introdotta da Renzi, consentì all’erario di riscuotere 8,4 miliardi di euro su 17,6. La seconda finestra, con Gentiloni, 2,6 su 8,5 miliardi di debiti. La rottamazione gialloverde, invece, fu il più grande dei mini-condoni erariali, garantendo allo Stato 6,3 miliardi su 26,3 complessivi. Sono poi seguiti i condoni di Draghi, la Rottamazione-quarter, e il nuovo saldo e stralcio targato Meloni.
I costi dei condoni
I costi dei condoni, in quest’ottica, sono calcolabili con attenzione solo a partire dai condoni dell’era Renzi. I 3,8 miliardi di euro incassati sui 60 emersi all’estero nella discolsure di Renzi sono stati pari al 6,33% del valore complessivo. Per fare un paragone, i dividendi esteri hanno una tassazione al 26%. Normalmente, questi capitali avrebbero subito una imposizione di 15,6 miliardi di euro. Parliamo dunque di 11,8 miliardi di euro di mancato gettito per l’erario.
Questi, sommati alle varie amnistie e ai condoni accumulati negli anni consentono di calcolare il gettito perso nell’erario solo nell’ultimo decennio: 11,8 miliardi per il rientro dei capitali dall’estero, 600 milioni per la pace fiscale, 35,1 miliardi per il primo “terzetto” di rottamazioni. Il totale, dal 2015 a oggi, fa 47,5 miliardi. A cui bisogna aggiungere il fatto che il think tank economico LaVoce.info ha stimato incassabili solo 12,4 dei 25,4 miliardi di euro emersi come debiti “rottamati” con la rottamazione quarter, i cui dati definitivi sono ancora da calcolare. Il risultato? 60 miliardi in meno di dieci anni. E tutto questo senza calcolare il buco nero dell’era Berlusconi, in cui le stime non erano ancora così approfondite.
Tutti i problemi dei condoni
In base ai dati forniti dall’Agenzia delle Entrate, i governi italiani hanno incassato circa 53,8 miliardi di euro con i condoni fiscali e le sanatorie dal 2000 a oggi. Le cifre coinvolte sono stimate però essere almeno cinque volte più grandi in termini di debiti su cui il condono dello Stato si è reso operativo. E questo impone delle serie riflessioni sull’utilità di queste misure.
Uno dei principali problemi dei condoni fiscali è che scoraggiano l’assolvimento degli obblighi fiscali. I contribuenti sanno che, in futuro, potranno sempre beneficiare di un condono, quindi non hanno alcun incentivo a pagare le tasse in modo regolare. Questo comportamento, nel lungo periodo, può portare ad una riduzione delle entrate fiscali e ad un aumento dell’evasione.
Un altro problema dei condoni fiscali è che favoriscono l’utilizzo di prestanome. I contribuenti che non vogliono pagare le tasse possono utilizzare prestanome per nascondere i propri redditi occulti. In questo modo, possono beneficiare del condono fiscale senza incorrere in alcun rischio.
Infine, i condoni fiscali possono danneggiare la credibilità dello Stato. I contribuenti che pagano le tasse in modo regolare si sentono defraudati quando vedono che i trasgressori vengono perdonati. Questo può portare ad una perdita di fiducia nel sistema fiscale e ad un aumento dell’illegalità.
Una misura straordinaria diventa ordinaria. Ed è un male
Difendere i cittadini più deboli e in difficoltà dalle fragilità che un eccessivo onere debitorio pregresso in condizioni di insolvibilità può far emergere è un conto. Condoni generalizzati legati alla difesa di privilegi di vario tipo e all’emersione di sommersi concentrati nelle parti alte della distribuzione del reddito sono antieconomici, anticoncorrenziali e nemici dello sviluppo.
Lo storico e sociologo Alessandro Volpi, a tal proposito, ha scritto su AltraEconomia che è fallace l’idea di fondo che spesso giustifica i condoni. Quella, cioè, di un fisco irrimediabilmente nemico dei cittadini: a fronte di 1.110 miliardi di euro di crediti non riscossi dall’ente tributario centrale, “la stessa Agenzia stima che solo 110 miliardi circa siano realmente esigibili e le ultime rottamazioni ne hanno già cancellati oltre 40. In pratica di 1.000 miliardi di euro da riscuotere ne restano una sessantina. Non mi sembra perciò che nel nostro Paese ci sia stata mai una “guerra” contro chi non paga, anzi direi che esiste da tempo una pace perpetua”. La pace dei condoni, con buona pace dei furbi.