Spediti a 6mila chilometri di distanza. E’ la sorte che potrebbe toccare ai richiedenti asilo irregolarmente arrivati nel Regno Unito. Il primo ministro Boris Johnson ha annunciato la ratifica di un accordo con il Ruanda per il trasferimento di migliaia di richiedenti asilo nel paese africano per l’elaborazione delle loro domande.
Una proposta choc
In un discorso tenuto sulla costa del Kent, Johnson ha annunciato le misure che il governo è in procinto di varare – si ipotizza già il prossimo venerdì – in materia d’immigrazione. Un tema che ha fortemente inciso sulle elezioni britanniche, a partire dal referendum sulla Brexit del 2016 (dopo la vittoria del Leave, una delle questioni rimaste aperte con Bruxelles è proprio la gestione del Canale della Manica).
Il nuovo piano dell’esecutivo prevede una proposta choc ha sollevato polemiche di politici e attivisti. Una Partnership su migrazione e sviluppo economica stipulata col Ruanda prevede che “chiunque sia arrivato nel Regno Uniti dal primo gennaio ora potrà essere trasferito nel paese africano“.
L’accordo
In base all’accordo, la Gran Bretagna pagherà al Rwanda 120 milioni di sterline, circa 157 milioni di dollari, per finanziare “opportunità per ruandesi e migranti”, tra cui istruzione, qualifiche secondarie, formazione professionale e professionale e lezioni di lingua, ha affermato il governo ruandese in una nota.
L’accordo con il Ruanda non “ha limiti” di numeri ed il Paese africano, ha detto ancora Johnson “ha la capacità di ospitare decine di migliaia di persone negli anni a venire”. Ai richiedenti asilo, una volta arrivati nel Paese africano, “saranno forniti aiuti per un periodo fino a cinque anni, compresa formazione professionale, alloggio ed assistenza medica”, così ha detto Priti Patel, la Ministra dell’Interno britannica in una conferenza stampa a Kigali, capitale del Ruanda, dopo la ratifica dell’accordo.
La Royal Navy per il cimitero marino
Una decisione choc quella presa da BoJo in Inghilterra sul fronte immigrazione. Nel 2021 sono approdati illegalmente oltre 28mila migranti (nel 2020, anche a causa della pandemia, erano stati 8.500), che spesso attraversano con imbarcazioni di fortuna la Manica, da Johnson stesso definita “un cimitero marino“. Nel 2021 sono morte 44 persone, tendando di attraversare The Channel, l’incidente più grave fu registrato lo scorso 24 novembre, con la morte di 27 migranti.
Questo ha spinto il premier a varare una nuova politica del pugno di ferro contro i migranti. Johnson ha deciso di affidare alla Royal Navy – la marina militare – e non più la Border force – una sorta di Guardia costiera britannica – il controllo delle operazioni sulla Manica, in modo da fermare le piccole imbarcazioni e barconi di migranti. Il Regno Unito si autorizza a incriminare chi arriva illegalmente, e comminare pene pesanti, fino all’ergastolo, contro i trafficanti.
Una misura draconiana
“Non possiamo più sostenere un sistema illegale parallelo. La nostra compassione può essere infinita, ma la nostra capacità di aiutare le persone non lo è“. Così il premier ha sbrigato la faccenda, rispondendo ai giornalisti che lo incalzavano sulla questione. Ha ribadito che la partnership con il Ruanda “ha l’obiettivo di salvare vite“.
L’intenzione dichiarata da Johnson è quella di porre fine al traffico di esseri umani: “Chi cercherà di saltare la coda (per entrare nel Paese) o prendersi gioco del nostro sistema, sarà rapidamente, e in modo dignitoso, mandato in un Paese terzo sicuro“.
Una storia nota
Una motivazione che può ricordare gli slogan sull’immigrazione di alcuni politici di casa nostra, ma che nel Regno Unito ricorda prassi storiche coloniali che non possono essere dimenticate. Dei politici laburisti hanno criticato aspramente l’iniziativa, che ad alcuni ha fatto balenare in mente le “colonie penali” del ‘700-‘800, quando i britannici spedivano carcerati e persone indesiderate in Australia e altre destinazioni remote.
Le associazioni che si occupano di diritti umani hanno ricordato che il paese – ex colonia tedesca prima e belga dopo la Seconda guerra mondiale, teatro di uno dei più feroci genocidi della storia tra Hutu e Tutsi nel 1994 – è stato accusato dall’Human Rights Watch report del 2020 di detenzioni illegali, torture e violazione in via ufficiale e non.