Perché questo articolo potrebbe interessarti? Dopo gli scontri delle ultime settimane, Erdogan è stato molto veloce nel rispondere all’esigenza della Nato di aumentare il contingente della missione Kfor. Ankara ha così inviato altri 500 soldati in Kosovo ed è pronta a estendere la propria influenza sui Balcani. Il tutto a discapito di altri partner Nato, Italia in primis
Da quando nel 1999 la Nato ha messo piede in Kosovo, mai aveva registrato un alto numero di soldati feriti in una singola operazione. A fine maggio, durante le proteste della comunità serba nel nord del Paese, ben 41 militari dell’Alleanza Atlantica inquadrati nella missione Kfor sono rimasti coinvolti negli scontri. Di questi, 14 erano italiani. Per fortuna, nessuno è rimasto ferito in modo grave ma quanto accaduto ha dato il segno della tensione in corso.
La Nato ha così chiesto un ulteriore sforzo ai Paesi membri, destinando al Kosovo altri 700 soldati. A rispondere all’appello è stata soprattutto la Turchia. Il presidente Erdogan, fresco di rielezione, ha inviato 500 militari del 65esimo Comando Brigata Fanteria Meccanizzata. In tal modo, Ankara ha ulteriormente messo le mani su un Paese in cui esercita già da tempo una forte influenza.
L’invio di soldati turchi
I militari agli ordini di Erdogan sono già arrivati in Kosovo. Sono decollati da una base turca e hanno preso posto all’interno della base Sultan Murat situata a Prizren, nella parte sud occidentale del Paese. Una zona lontana dagli scontri degli ultimi giorni, ma la loro presenza probabilmente permetterà al comando della Kfor di liberare diversi soldati e destinarli nelle aree di maggior tensione.
A Prizren i 500 militari arrivati dalla Turchia si sono incontrati con gli altri propri connazionali già presenti in Kosovo. Ankara infatti partecipa da anni alla missione Kfor, l’invio di rinforzi da parte del governo di Erdogan ha dato ulteriore impulso a un contingente formato adesso da 780 uomini. Il secondo per grandezza impegnato in Kosovo, dietro soltanto a quello italiano che conta 850 militari. L’impiego dei soldati turchi probabilmente è stato visto di buon occhio dal governo di Pristina, il quale ha sempre intrattenuto ottimi rapporti con quello di Ankara. E questo per diverse ragioni, in primo luogo culturali: i kosovari albanesi sono in gran parte in maggioranza musulmani e c’è quindi una maggiore empatia e vicinanza con i turchi. Ci sono poi questioni di ordine economico e commerciale, con la Turchia da anni protagonista nei Balcani e nelle aree percepite come culturalmente più affini.
Erdogan consolida la presenza nel Kosovo
L’impressione è che, subito dopo gli scontri e la conseguente esigenza della Nato di avere più militari impegnati, il governo turco non abbia perso tempo nell’inviare altri soldati. Nel corso dei primi anni del nuovo secolo, Ankara ha sviluppato un solido soft power in Kosovo. Moschee, scuole, istituti culturali, istituti religiosi, è da qui che sono passati gli ingenti investimenti turchi nel Paese balcanico. L’Akp di Erdogan ha del resto promosso a più riprese l’ideologia del neo ottomanesimo, il quale vede nelle regioni a maggioranza musulmane dei Balcani e nella cosiddetta “cintura albanese” il proprio naturale sbocco.
L’arrivo di altri 500 soldati nell’ambito della missione Kfor, sta quindi permettendo ad Ankara di consolidare la propria influenza. La folta presenza militare è soltanto l’ultimo dei segnali che testimonia una sempre più forte presa di Erdogan sul Kosovo. Il contingente turco al momento non supera quello italiano, ma poco importa: avere più di 700 soldati in un’area dove già da anni la propria presenza economica e culturale è in crescita, vuol dire poter esercitare un’influenza quasi decisiva sulle sorti politiche (e non solo) del territorio kosovaro.
La situazione negli ultimi giorni
Intanto la tensione è ancora forte. Nei corridoi diplomatici c’è molta preoccupazione: “Raramente – ha dichiarato un diplomatico su TrueNews – si è arrivati a una situazione così precaria sul fronte della sicurezza”. Motivo del contendere per il momento riguarda l’elezione di sindaci albanesi in comunità a maggioranza serba, il tutto dopo elezioni boicottate dalla comunità serbo-kosovara. Nei giorni scorsi tre poliziotti kosovari sono stati arrestati dalle autorità serbe. Queste ultime hanno parlato di arresti avvenuti nel territorio di Belgrado, Pristina invece ha sostenuto il contrario e ha reagito arrestando cittadini serbi accusati di aver aggredito giornalisti kosovari.
Lo spettro di nuovi scontri è quindi molto alto. E anche il contingente italiano impegnato a Mitrovica, nel nord del Paese, è in allerta. Questo apre la strada a un vero e proprio paradosso: mentre i nostri soldati sono impegnati nei tentativi di sedare le tensioni e alcuni di loro a maggio sono rimasti feriti negli scontri, il governo che più di tutti sta riuscendo a sfruttare la situazione è quello turco. Senza sparare un colpo, Erdogan di fatto sta sempre più penetrando nel tessuto politico ed economico del Kosovo. A discapito di altri Paesi della Nato impegnati qui già dal 1999.