Perché questo articolo potrebbe interessarti? Grazie al lavoro dei militari stanziati nella base italiana di Gibuti, per 200 nostri connazionali bloccati nel caos del Sudan è stato possibile tornare a casa. Un episodio che dimostra l’importanza di avere basi all’estero.
I circa 200 italiani presenti in Sudan durante le fasi più calde del conflitto scoppiato ad aprile, sono stati evacuati dal Paese grazie all’azione delle nostre forze speciali. Un’azione non semplice ma necessaria: tutti gli aeroporti sudanesi sono teatro di schermaglie tra le parti in lotta, evacuare con voli di linea o voli speciali è stato da subito impossibile, l’unica via era dettata da operazioni condotte dall’esercito. L’Italia in tal senso ha potuto puntare sulla presenza, nell’area del Corno d’Africa, di una propria base militare. È quella di Gibuti, rivelatasi fondamentale per le operazioni in Sudan. Un episodio che dimostra, ancora una volta, l’importanza di avere basi operative nelle aree più calde del pianeta.
La base di Gibuti
Gibuti è un piccolo Paese del Corno d’Africa, situato in uno dei punti più strategici del continente. Le sue coste si affacciano sullo stretto di Bab el-Mandeb, qui dove le acque dell’Oceano Indiano convergono nel Mar Rosso e dove l’Africa è distante dalla penisola arabica appena 30 km. Per risalire verso il canale di Suez e quindi verso il Mediterraneo, tutte le navi petroliere e mercantili devono attraversare le perennemente turbolenti acque dello stretto.
È per questo che Gibuti si è trasformato velocemente negli ultimi anni nella “caserma d’Africa”. Molti Stati hanno qui una propria base. Ci sono i soldati dell’ex madrepatria francese, così come i soldati statunitensi e britannici. Anche il Giappone ha impiantato a Gibuti una propria base militare. E pochi anni fa è qui che la Cina ha costruito la prima base all’estero. Dal 2012 sono presenti inoltre i militari italiani.
I nostri soldati operano all’interno della base dedicata al tenente Amedeo Guillet. La presenza dell’esercito è correlata soprattutto alla necessità di garantire la sicurezza delle acque dello stretto, spesso oggetto di assalti pirateschi. In occasione della crisi del Sudan però, la base si è rivelata fondamentale per aiutare i connazionali bloccati dal conflitto. Roma ha potuto operare grazie a proprie infrastrutture e con le proprie forze speciali. Un’azione ben riuscita e che ha messo in salvo circa 200 famiglie. Il tutto senza chiedere aiuti esterni o ad altri partner. Circostanza quest’ultima non secondaria sotto un profilo prettamente politico.
Le basi italiane nel mondo
La domanda sorge quindi spontanea: l’Italia è in grado di operare in questa maniera in altre aree del mondo? Quella di Gibuti non è la nostra unica base militare all’estero. Il sesto reggimento pionieri è impegnato da alcuni anni nella costruzione di una base in Niger. Un altro Paese strategico in Africa. Da qui transitano buona parte dei migranti che poi, raggiungendo la Libia, provano a imbarcarsi in direzione delle coste siciliane. La presenza in Niger è importante inoltre nell’ottica del contrasto al terrorismo e più in generale, nel ruolo che l’Italia può esercitare nell’area del Sahel. Dopo l’apertura dell’ambasciata avvenuta nel 2017, la nuova base segnerà un ulteriore passo in avanti della presenza italiana nella regione.
Un’altra importante base è quella di Camp Singara, un compound ospitato nella sede della missione internazionale in Iraq. La base si trova ad Erbil, recentemente è stata visitata anche dal presidente del consiglio Giorgia Meloni e dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. In Libano invece ha sede la Mibil, ossia la missione bilaterale Italia-Libano. Si tratta di una base italiana separata da quella che ospita il nostro contingente nell’ambito della missione Unifil II, operativa nel sud del Paese dei cedri su mandato Onu dal 2006. Un’altra importante base è quella che ospita la missione Miasit, stanziata a Tripoli. Da considerare nell’elenco anche le sedi operative della missione Eutm in Somalia, che ospita 148 nostri soldati, e della missione Mfo in Egitto.
Le aree dove Roma è più “scoperta”
Ci sono poi le basi dove operano i militari italiani nelle varie missioni internazionali. Come ad esempio la base che ospita i nostri soldati nell’ambito della missione Nato Kfor in Kosovo. Così come la base della sopra citata Unifil in Libano. Ma si tratta di basi la cui funzione è limitata alle operazioni in cui i nostri soldati sono impegnati. Complessivamente, si può ben notare come la geografia della presenza italiana all’estero è concentrata soprattutto in medio oriente.
Le basi in Africa e lungo la sponda asiatica del Mediterraneo, proiettano Roma nella regione extraeuropea a noi più vicina. Dando, al contempo, garanzie di intervento immediato per i nostri connazionali in caso di difficoltà. Come accaduto nel Sudan. Dove invece l’Italia risulta da questo punto di vista più scoperta è nell’estremo oriente, almeno per quanto riguarda le aree più delicate del pianeta. L’unico nostro avamposto era quello di Herat, in Afghanistan. Terminata quella missione nel 2021, Roma non ha poi avuto altre basi nella regione. Circostanza che, come visto nel recente caso sudanese, potrebbe comportare non pochi problemi in caso di nuova crisi.