Il controllo del terminal container del Pireo, il più grande porto della Grecia situato in una posizione geostrategica nel cuore del Mar Mediterraneo. Il consolidamento dei rapporti economici con gli Emirati Arabi Uniti, dove risultano attive circa 4mila aziende cinesi, operative nel mondo arabo e in Africa. I ripetuti flirt con Israele per la costruzione di vari progetti infrastrutturali, a dire il vero non sempre andati a buon fine. E ancora: i legami diplomatici con Siria, Iran e Libano, sempre più stringenti grazie ai corridoi della Nuova Via della Seta, e una presenza ormai costante in Africa Settentrionale, Libia compresa. La Cina ha ormai messo radici profonde in Medio Oriente, e da qui ha potuto espandere la propria influenza anche nel Mar Mediterraneo. Agevolata negli ultimi anni dalla progressiva uscita di scena degli Stati Uniti, Pechino non ci ha pensato due volte ad effettuare l’operazione inversa: occupare le praterie lasciate vuote da Washington.
Cina in prima linea nella ricostruzione della Libia
È così che, nel corso dell’ultimo decennio, il Dragone si è ritrovato a maneggiare tematiche storicamente sconosciute alla leadership cinese. Prendiamo, ad esempio, la Libia. Chi avrebbe mai pensato che oggi il Dragone potesse essere in prima linea nella gestione della ricostruzione economica di questo Paese? Eppure, come hanno rilevato diversi think tank americani, il governo cinese ha investito in loco diverse quantità di denari, al punto da arrivare ad esercitare una certa influenza politico-economica. Ai tempi di Gheddafi, la Cina aveva già costruito svariate infrastrutture e, nel 2011, poteva contare su quasi 80 società locali capaci di produrre un giro di affari pari a circa 19 miliardi di dollari, derivanti da una cinquantina di progetti suddivisi tra edilizia abitativa, ferrovie, idroelettrico e telecomunicazioni. In seguito, pur procedendo su un doppio binario diplomatico, la Repubblica Popolare ha ufficialmente appoggiato il governo di Accordo nazionale guidato da Fayez Al Sarraj. Nel 2018 è stato firmato pure un Memorandum d’Intesa per inserire la Libia nella Belt and Road Initiative, e un anno più tardi il commercio sino-libico – trainato per lo più dall’export del petrolio libico – è andato incontro a un aumento annuo pari al 160%, toccando quota 6,21 miliardi di dollari.
Cina e Libia, un rapporto che nasce da lontano
Dando un’occhiata ai dati della Banca centrale libica relativi al 2019, notiamo come già tre anni fa la Cina si piazzasse al primo posto della lista dei principali importatori ed esportatori della Libia. Non a caso, nei mesi scorsi il presidente esecutivo della Libyan National Oil Company (NOC), Mustafa Sanallah, e l’ambasciatore cinese a Tripoli, Wang Qimin, hanno studiato le modalità per il ritorno delle società cinesi operanti nei settori del petrolio, del gas e delle costruzioni, passando in rassegna progetti per la manutenzione e l’ammodernamento dei sistemi di trasporto del petrolio. Detto in altre parole, la Libia ha fame di investimenti e la Cina è ben lieta di fornire assistenza, e magari riavviare progetti congelati.
Proprio come il maxi piano infrastrutturale da oltre 4 miliardi di dollari coordinato dalla China Railway Group (CRCC) – e bloccato nel 2011 – che avrebbe dovuto costruire in territorio libico una moderna linea ferroviaria. Ricordiamo che l’intero progetto (valore complessivo: 12 miliardi di dollari) era stato suddiviso tra le ferrovie russe (RZhD), incaricate nel 2008 di costruire la linea di 554 chilometri tra Sirte e Bengasi, e la CRCC. Pechino si aggiudicò un contratto nel 2008 per realizzare la linea da Sirte a Khoms e poi fino al confine tunisino a Ras Jedir. In seguito, i cinesi si accaparrarono anche l’appalto per la costruzione della linea di 800 chilometri tra Misurata e Wadi Shatti, vicino a Sebha.
Pechino e Roma, interessi comuni in Libia
Parlando di infrastrutture (e non solo di petrolio o energia), possiamo collegarci a una buona fetta di interessi economici italiani in Libia non sempre approfonditi a dovere. L’Italia, non a caso, è impegnata nella costruzione dell’autostrada costiera libica dal confine tunisino a quello egiziano. Secondo un accordo risalente al 2008, come parte del risarcimento dell’era coloniale italiana in Libia, Roma avrebbe pagato di tasca propria l’intero progetto (valore: circa 5 miliardi di dollari) coinvolgendo aziende italiane. Basta unire i punti per capire come possano sussistere ampi margini di manovra per assistere a una cooperazione libica tra Italia e Cina, ma anche l’esatto opposto, ovvero una concorrenza sfrenata tra i due Paesi.
Zhai Jun, dal 2019 inviato speciale del governo cinese per gli affari mediodentali, ha fornito la sua versione in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera: Pechino e Roma dovrebbero lavorare spalla a spalla per stabilizzare la Libia, così da stoppare il flusso di profughi e sconfiggere il terrorismo. E chissà che non possano spuntare altri possibili intrecci, magari in ambito economico e infrastrutturale. Certo è che l’Italia dovrebbe iniziare a studiare da vicino le mosse cinesi in Libia, onde evitare il rischio di restare con un pugno di mosche.