Quale fattore è stato decisivo nel voto in Sardegna? Difficile trovare un minimo comune denominatore per semplificare l’esito di un’elezione decisa da circa 3mila voti a favore di Alessandra Todde, candidata del centrosinistra, nella sfida con Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari di Fratelli d’Italia e uomo del centrodestra. “Più che di un trionfo del centrosinistra è giusto dire che si sia trattata di una sconfitta strategica della destra”, dice a True-News Alessandro Faggiano, caporedattore di Termometro Politico.
“Anzi”, aggiunge Faggiano, “possiamo realisticamente dire che si tratti della prima sconfitta strategica di Giorgia Meloni da settembre 2022 a oggi. La premier”, nota l’analista politico, “ha imposto il candidato, Paolo Truzzu, nonostante sapesse che era fragile e in crisi di consensi nella sua stessa città”, dove peraltro Todde ha vinto ampiamente. “E questo è risultato un errore decisivo. La volontà di far pesare in Sardegna, di fronte a un voto dove molto contavano le dinamiche locali, i rapporti di forza nazionali per sfilare la regione alla Lega non si è rivelata vincente”.
Come Todde ha vinto in Sardegna
La debolezza di Truzzu ha determinato la sconfitta “in un contesto dove invece il centrodestra ha saputo tenere a livello di lista. Ma Pd e Movimento Cinque Stelle hanno saputo scegliere un nome più forte, quello della Todde” che, aggiunge Faggiano, “ha saputo muoversi bene e meglio di Truzzu su un dossier caldo in queste settimane come quello dell’agricoltura“.
Todde ha proposto una legge quadro sullo sviluppo agropastorale nell’Isola dei nuraghi, non si è sottratta al confronto pubblico, unica candidata presente assieme a Renato Soru, organizzato da Copagri, ha ricevuto gli assist di Elly Schlein e Giuseppe Conte che hanno attaccato Meloni e la giunta Solinas sull’agricoltura. Ha dunque beneficiato di quel vento positivo che nel 2019, sull’onda delle proteste per i prezzi del latte, premiò Christian Solinas.
“Ogni elemento può aver avuto un suo peso in una corsa decisa all’ultimo voto”, aggiunge Faggiano, “e bisogna ricordare che le dinamiche tra loro convergono a formare un vettore che punta in più direzioni. Al contempo, a cavallo tra questioni nazionali e locali”, nota Faggiano, “non può essere escluso che un ruolo possa esser stato giocato dal fermento sociale delle ultime settimane. Perché non pensare ad esempio che in Sardegna alcuni elettori non abbiano votato sulla scia dell’indignazione provocata dalla gestione reazionaria dell’ordine pubblico andata in scena in contesti come quello di Pisa”.
E ora l’Abruzzo…
In generale, aggiunge Faggiano, “Todde vince sulla scia di una mobilitazione dovuta all’effetto underdog, che rende possibile una rimonta tramite la mobilitazione di un elettorato che sente possibile la vittoria. Vedremo se questo effetto si riproporrà in Abruzzo, tra due settimane”.
In Abruzzo Luciano D’Amico sarà sostenuto da un campo “larghissimo” che a Pd, M5S e ecologisti vedrà sommarsi anche i centristi e partiti come Azione e Italia Viva. “Non è detto che questa sommatoria aiuti a prescindere”, nota Faggiano, “perché sarà necessario trovare quel minimo comune denominatore che è fondamentale per rendere coesa” una coalizione di questo tipo. L’avvicinamento Conte-Schlein e l’uso politico di fattori come la lotta alle disuguaglianze e l’ambientalismo in Sardegna “hanno aiutato a mobilitare l’elettorato. In Abruzzo il centrosinistra ha la possibilità di confermarsi ma molto è ancora in gioco”. Ogni voto è storia a sé. Specie alle Regionali. Dove le dinamiche nazionali chiamano sicuramente alle urne. Ma ogni risultato è, prima di tutto, figlio del territorio. Come del resto il successo di Todde conferma.