“Quando Juri Gagarin compì la sua orbita intorno alla terra la Russia – o meglio l’Unione Sovietica – era un paese completamente isolato. Se fu possibile allora, lo sarà anche adesso”. Vladimir Putin usa il mito fondativo dello spazio per giustificare la guerra in Ucraina e spronare il paese a superare le sanzioni.
Il manifesto di Vostočnyj
Lo scorso 12 aprile, dal cosmografo di Vostočnyj, estremo est della Siberia, in occasione del 61esimo anniversario dell’impresa, il presidente russo ha rievocato la prima orbita di un uomo intorno al pianeta, un caposaldo della nazione sovietica. “Quando sembrava” – parole del presidente – “che i russi potessero avere la meglio nella corsa allo spazio ingaggiata con gli Stati Uniti”.
Putin dimentica di menzionare come sia andata a finire la competizione spaziale e più in generale la Guerra fredda. Quello che importa al leader russo è l’ineluttabilità dell’intervento armato in Ucraina, perché dice: “Non avevamo scelto, dovevamo intervenire. L’Ucraina aveva pubblicamente rigettato gli accordi di Minsk e non potevamo continuare a sopportare il genocidio che da otto anni va avanti nel Donbass. Stiamo salvando le persone, da una parte e dall’altra“.
Il discorso celebrativo dell’anniversario del primo cosmonauta passa dalla dichiarazione d’intenti al vero e proprio manifesto programmatico di Putin, quando afferma: “Stiamo lavorando per garantire la sicurezza della Russia e – qui arriva il monito contro l’Occidente – a non pensare che la Russia possa essere isolata“.
La visione della storia di Putin
Un discorso che ha fatto breccia nel primo capo di stato occidentale a far visita al Cremlino dal 24 febbraio. Il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, ha confermato il pessimismo dopo la visita moscovita: “Non sono ottimista, per niente. Putin è intrappolato nella sua visione del conflitto, in quella che ritiene essere la natura di questa guerra, e si comporta di conseguenza”.
Alla visione di Putin non concorre solo la guerra in corso, ma un’idea della storia della russa alternativa a quella occidentale. C’è un conflitto con la storia che noi studiamo, che fa definire l’intervento in Donbass “un nobile tentativo per difenderlo”, che fa parlare di “denazificazione” e che apre a progetti che a noi possono suonare anacronistici. E’ un controsenso per noi, ma abbiamo il dovere di conoscerla, per non fare come Putin.
Logica nero su bianco
Per quanto feroce possa essere, c’è una logica dietro la strategia di Putin. E’ stata esplicitata più volte nel corso degli anni. Con chiarezza, cristallina nella sua perversione, in un lungo articolo comparso il 12 luglio sul sito del Cremlino: “L’unità storica di russi e ucraini“.
Le dieci pagine di “manifesto dello zar” sono state compendiate in un discorso destinato a entrare nella storia. “L’Ucraina non è un nostro vicino”, ha affermato Putin. “E’ parte inalienabile della nostra storia, cultura e del nostro spazio spirituale”. Il confine ucraino altro non sarebbe che un vecchio marchio amministrativo sovietico: “La moderna Ucraina è stata del tutto creata dalla Russia“.
Era la notte del 21 febbraio, tre giorni dopo Vladimir Putin ha dato il via all’invasione di terra più grande sul suolo europeo dai tempi della Seconda guerra mondiale.
La guerra che sta fondando una nazione
L’invasione, oltre a dare adito a decenni di narrazione russa, sta avendo importanti ricadute sull’Ucraina. Non solo materiali, ma anche concettuali e spirituali. Non è una bestemmia affermare che l’Ucraina, nata nel 1991, fosse debole dal punto di vista del sentimento nazionale.
Un paese diviso da un punto di vista linguistico e religioso, al confine tra il mondo occidentale e quello orientale, con un vicino ingombrante a livello economico, politico e storico. Questo paese sta registrando per la prima volta nella sua storia un senso di unità – proprio quel superamento delle divisioni che il presidente-attore Zelensky si augurava nel discorso finale della serie tv che poi lo ha realmente portato a capo dello Stato. E lo sta facendo grazie all’invasione russa.
“Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi” diceva Bertlot Brecth. Ma è innegabile che figure a cavallo tra storia e mito contribuiscano alla creazione di un’identità nazionale. Per la prima volta nella storia gli ucraini si stanno vantando di eroi propri, circondati da un’area di leggenda, ma immersi in una storia vera che vivono sulla propria pelle.
Il fantasma di Kiev che abbatte i caccia russi, il “vaffanculo nave russa” dei marinai dell’Isola del Serpente alla Moskva – recentemente affondata – il rapper col fucile che diventa un brano dei Pink Floyd. Sono i cantori della resistenza ucraina, le prime figure del pantheon di una nazione fino ad ora priva d’eroi. E tutto questo è merito della guerra alla storia di Putin.
La Nato è uscita dal coma
Insieme con l’identità nazionale ucraina, l’invasione di Putin ha contribuito a risollevare le sorti di un’altra entità. Sembra passato un secolo da quando Macron ha definito la Nato “cerebralmente morta”. Anziché staccare la spina, la guerra di Putin è stato l’elettroshock in grado di far tornare a battere i cuori in direzione dell’Alleanza atlantica.
E’ così per Svezia e Finlandia – nemiche secolari della Russia, che ora guardano alla Nato. Ma anche il riarmo tedesco, i dibattiti sul budget della difesa, un esercito comune europeo: sono tutte conseguenze – insperabili fino a due mesi fa – del piano che ha inclinato la guerra di Mosca.
Per una straordinaria eterogenesi dei fini, un conflitto che ripropone una storia che va dall’Impero degli Zar all’Unione sovietica ha ricreato le condizioni storiche per gli incubi dei cultori della Grande Madre Russia. La guerra di Putin ha una sua logica, che però deve fare i conti con la storia.