I numeri con cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione di condanna per la guerra russa in Ucraina restituiscono un’immagine chiara: quella di un isolamento diplomatico ormai granitico nei confronti di Mosca. Tuttavia, come spesso accade nei grandi quadri, gli elementi più importanti si trovano nei dettagli e nelle sfumature, piuttosto che nelle grosse figure che campeggiano in primo piano.
I numeri della risoluzione Onu contro la Russia
Prima di tutto occorre spiegare cosa effettivamente è successo in sede Onu. Le Nazioni Unite hanno convocato un’Assemblea straordinaria per l’approvazione di una risoluzione di condanna contro la Russia. Ecco i numeri: 141 Paesi hanno votato sì, 35 (tra cui Cina, India, Pakistan e Iran) si sono astenuti e 5 hanno invece votato no. Si tratta di Russia (ovviamente), Bielorussia, Corea del Nord, Siria ed Eritrea. Nella risoluzione l’Organizzazione delle nazioni unite chiede alla Federazione russa il ritiro immediato e incondizionato delle truppe dall’Ucraina.
A questo punto va precisato che le risoluzioni dell’Assemblea sono atti giuridici generalmente non vincolanti, dal momento che il vero esecutivo dell’Onu è rappresentato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Cds). Può capitare, come in questo caso, che il Cds resti impantanato a causa del meccanismo di veti incrociati da parte dei membri permanenti del consiglio: Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. L’Assemblea Generale, nel momento in cui questo stato d’inerzia si verifica, può prenderne le veci e arrivare a imporre sanzioni o decretare l’utilizzo della forza contro uno Stato invasore. E’ il caso risoluzione “Uniting for peace”, varata dall’Assemblea nelle scorse ore.
Risoluzione Onu: solo la Siria non scarica Putin
Per quanto concerne la distribuzione dei voti, Mosca ne esce chiaramente danneggiata. Anche Paesi che tradizionalmente hanno discreti rapporti con la Russia – soprattutto accordi di cooperazione nel campo della Difesa – si sono schierati a favore della risoluzione o hanno optato per l’astensione. E’ esemplificativo, in tal senso, il caso del mondo arabo. Solo la Siria di Bashar Al-Assad è rimasta strettamente fedele alla linea dell’alleato russo, che a partire dal biennio 2014-15 ha contribuito in maniera determinante a evitare che il regime andasse a gambe all’aria durante la guerra civile. Nel Paese mediorientale, vale la pena ricordarlo, i russi sono pienamente inseriti non solo dal punto di vista militare – con le basi permanenti a Latakia e Tartus – ma anche nel tessuto economico e produttivo.
La posizione pro risoluzione di Emirati e Arabia
Colpisce invece la posizione di Emirati arabi uniti e Arabia Saudita, che hanno votato a favore della risoluzione. Entrambi i Paesi, pur rimanendo stretti alleati di Washington nell’area, intrattengono relazioni molto cordiali con Mosca. Stesso discorso vale per l’Egitto, interlocutore prezioso degli Stati Uniti che però non disdegna di acquistare aerei da guerra Sukhoi Su-35 dalla Russia. Astenuta anche l’Algeria, la Tunisia vota a favore.
Risoluzione Onu contro la Russia: l’astensione iraniana
Ancor più interessante – anche se al di fuori del mondo arabo – la posizione dell’Iran, che si “limita” ad astenersi anziché votare contro. Probabilmente, ma son solo congetture, è una dimostrazione di “buona volontà” dovuta al fatto che si stanno per chiudere, pare, i negoziati per il ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015, da cui gli Usa sono unilateralmente usciti nel 2018 sotto l’amministrazione Trump.
Insomma, a sostenere le ragioni di Mosca sono rimasti solo quelli che si possono considerare i partner più stretti, o per meglio dire quei Paesi che – per cause di forza maggiore o per convenienza – si schiererebbero a prescindere contro l’Occidente: la Bielorussia, ormai de facto un satellite del fratello maggiore russo, la Siria, la Corea Del Nord (servono commenti?) e l’Eritrea (probabilmente frutto maturo della notevole penetrazione russa nel continente africano degli ultimi anni).
Risoluzione Onu: cosa c’è dietro l’astensione della Cina
Tuttavia si può ipotizzare che fra gli astenuti, soprattutto i Paesi dal peso specifico importante, si possano celare anche i possibili mediatori. La Cina, ad esempio, nelle ultime ore ha offerto la sua attività di mediazione fra Mosca e Kiev per porre fine al conflitto, o perlomeno addivenire a un cessate il fuoco. L’astensione di Pechino va probabilmente letta proprio in quest’ottica: tramite quella che in molti hanno definito “ambiguità strategica”, la Repubblica popolare evita di schierarsi apertamente a favore o contro Mosca proprio per presentarsi come interlocutore credibile per tutti gli attori coinvolti, e magari far scoppiare la pace. Un risultato simile rappresenterebbe per la Cina un salto di qualità non indifferente nell’arena politica internazionale, garantendo a Pechino lo status di superpotenza non solo a livello economico, ma anche diplomatico. In poche parole, la Cina potrebbe presentarsi al mondo come il grande Paese che contribuisce in maniera determinante a risolvere i conflitti, una carta importante da giocare nella partita egemonica con gli Usa a livello globale.
Un “formato Astana 2.0” per l’Ucraina?
Infine, una menzione particolare spetta all’astensione del Kazakhstan. Il Paese centrasiatico, che negli ultimi mesi è stato teatro di importanti scossoni a livello politico, ha ormai una certa esperienza come ospite di formati diplomatici alternativi (e concorrenti) rispetto a quelli tradizionali. Non a caso, tanto per dirne una, Russia, Turchia e Iran fanno parte del cosiddetto terzetto di Astana (vecchio nome della capitale kazaka che oggi si chiama Nursultan, in onore del “padre della patria” Nazarbayev). Si tratta di un meccanismo che, soprattutto a partire dal 2017 e con la mediazione kazaka, ha praticamente deciso le sorti della guerra in Siria, mettendo attorno allo stesso tavolo attori schierati fino a quel momento su parti opposte della barricata. Sarà forse possibile di parlare di un “formato Astana 2.0” per l’Ucraina? Sarà il tempo a dirlo.