Non è ancora chiaro se a guidare il Movimento Cinque Stelle sarà Vito Crimi o Beppe Grillo o qualcun altro ancora. Ma se la scelta ricadesse sul comico potrebbe verificarsi la circostanza – rarissima per il contesto italiano – per cui i principali partiti si trovino ad essere guidati dallo stesso leader che avevano nel 2013. Il 28 aprile di quell’anno Enrico Letta prestava il giuramento del suo governo, poi fatto cadere da Matteo Renzi (a dicembre di quell’anno diventato Segretario del Pd dopo aver vinto le primarie); in quell’anno si ricostituiva Forza Italia, che dal 1994 ha comunque sempre e solo avuto a capo Silvio Berlusconi; l’anno prima era nato Fratelli d’Italia già guidato da Giorgia Meloni (in un triumvirato con Guido Crosetto e Ignazio La Russa) e Matteo Salvini era appena diventato Segretario della Lega; Beppe Grillo sarebbe rimasto leader unico del Movimento ancora per quattro anni, fino alla nomina di Di Maio nel 2017.
Leader italiani: alla rimpatriata manca solo Grillo
Se pensiamo che in quei mesi del 2013 iniziavano le prime tensioni in Ucraina, viene da pensare che tutto rimanga uguale sotto il cielo di una politica italiana che anche in quanto a scossoni esterni sembra conoscere ripetizioni. A trent’anni dall’anniversario di Maastricht e di Mani pulite ecco che piomba un altro vincolo da Bruxelles con i 200 miliardi del Pnrr.
Mattarella bis: ricordi, corsi, ricorsi e ritorni
“Bis, bis”. Il palcoscenico delle grandi occasioni, la folla da grande sceneggiato che si fa premonitrice del futuro e i lunghi minuti di applausi che suonano profetici. Era il 7 dicembre dello scorso anno quando alla Scala di Milano andava in scena il più roboante atto della sintonia tra la società civile italiana e Sergio Mattarella, all’epoca al suo primo mandato. Quel giorno nel teatro più famoso d’Italia si metteva in scena un’opera lirica di Verdi, tratta da una tragedia di Shakespeare, quanto mai oracolare del destino della Presidenza della Repubblica e dei partiti italiani: Macbeth.
“Domani, domani e poi domani” è il celebre verso dell’atto V con cui il Macbeth accoglie la notizia della morte della moglie. “Avanza a poco a poco, giorno dopo giorno, verso l’ultima sillaba del copione, e tutti i nostri ieri avranno illuminato a degli sciocchi la polverosa via della morte” prosegue una disperata invocazione a procrastinare che fa perfettamente al caso di una politica che, incapace di farsi arbitra del proprio destino, ha deciso di nascondere la polvere sotto il tappeto cercando di rinviare il problema.
La settimana barocca che ha portato alla rielezione di Sergio Mattarella ha così sbloccato una serie di ricordi, di paralisi e ritorni: da Berlusconi a Casini, passando per Sanremo e Mani Pulite. Sta per calare il sipario su una legislatura ricca di colpi di scena degni del miglior teatro classico, che permette al contempo di ridere e piangere.
Dai tempi delle poleis greche il teatro ha i suoi simboli e i suoi riti, così come il festival della politica quando si tratta di eleggere il Capo dello Stato. Una kermesse di falchi e catafalchi, di colombe e franchi tiratori, in cui svetta sovrana la figura simbolo della partitocrazia nel nostro paese: il democristiano. Eccoci allora di fronte al revival di Casini e Tabacci, di Lupi e Mastella, di Mattarella stesso e di Enrico Letta (che è stato presidente dei Giovani Democristiani Europei tra il 1991 e il 1995). Dal ventre della balena (bianca) è emerso anche Cirino Pomicino.
Le reinterpretazioni sperimentali sono scarsamente tollerate al Quirinale. Ecco allora che trova conferma il granitico tabù che impedisce un presidente espressione di una cultura o di un partito della Seconda Repubblica. Per scelta dei partiti epigoni della Prima e soprattutto per i virtuosismi di un centrodestra che con la candidatura di Berlusconi è sconfinato nel teatro dell’assurdo.
L’eterno ritorno da Sanremo alla magistratura in politica
Calato il sipario sul Quirinale, si alza quello dell’Ariston a fare da stacco con un Festival della canzone italiana che, tra promesse di rinnovamento e provocazioni ormai datate, rispolvera Gianni Morandi, Orietta Berti e Ornella Muti. Non appena terminato il giuramento del Mattarella II, ecco che irrompe il deus ex machina dell’intervento a gamba tesa della magistratura sulla politica – tra un mese ricorre il trentesimo anniversario di Mani Pulite. E chi potrebbe tornare a guidare il Movimento 5 Stelle? Vito Crimi, uno degli incaricati nel 2013 di salire in ginocchio al Quirinale per chiedere a Napolitano di accettare il bis, senza bene e senza bravo.
Un eterno ritorno degli stessi capopartito: Crimi e Letta usciti dalla porta e rientrati dalla finestra; Berlusconi che di aprire le porte a un successore non vuole sentirne parlare; leader che i partiti li hanno plasmati a propria immagine e somiglianza come Meloni per Fratelli d’Italia e Salvini per la Lega (non più Nord); o leader che pur di non cambiare la propria leadership ricorrono a scissioni e fusioni come Renzi, Toti e Speranza.
Politica italiana, una storia che si ripete
I partiti sono in stallo e allora ritornano le solite formule, sciorinate come mantra: Grande Centro liberale, un modello anglosassone per la federazione dei conservatori, un’agenda progressista per la sinistra. Tante belle parole, ma di cosa riprenderanno nel concreto a discutere i nostri politici se non di legge elettorale, l’uroboro che mangia la coda di partiti che ormai si sono attorcigliati su sé stessi.
La storia si dovrebbe dunque ripetere sempre due volte, ma forse nella politica italiana il paradigma di Marx si è ribaltato: se da trent’anni assistiamo a una farsa, è il caso di godersi la tragedia shakespeariana che è l’attualità della politica. Bene, bravi, bis!