Lo scorso fine settimana si sono svolte le elezioni parlamentari in Russia. Con il 49% dei voti Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, ha vinto le elezioni. Senza però trionfare. L’affluenza al minimo storico (51%), la flessione del partito a danno di partiti d’opposizione e le immancabili accuse di brogli rischiano di minare il risultato di Putin.
Antonella Scott, vice responsabile della sezione Esteri e inviata in Russia de Il Sole 24 Ore, analizza la recente tornata elettorale e gli scenari futuri per un paese chiave dello scenario internazionale.
Dottoressa Scott, all’esito scontato della vittoria di Putin alle elezioni ha fatto da contraltare la perdita di consensi per il presidente e la scarsa affluenza. Si può parlare di sconfitta per Putin?
Da sempre, da quando esiste Russia Unita, Vladimir Putin è stato molto attento a non identificarsi troppo con il partito: lo usa per quello che gli serve, un veicolo per raccogliere consensi che gli è però sempre stato stretto. All’inizio, questo atteggiamento si spiegava soprattutto con il desiderio di essere al di sopra delle parti: lo “Zar” di tutti i russi non può identificarsi con un’unica fazione. Ma adesso che Edinaja Rossija diventa sempre meno popolare, Putin si tiene a distanza per non farsi “contagiare”: infatti la sua popolarità personale è superiore a quella del partito, dei burocrati e dei politici. Russia Unita ha perduto posizioni in queste elezioni, ma è comunque necessario al Cremlino per dimostrare che il regime è legittimato da un voto. Putin non permetterà mai che le sfortune di RU mettano in pericolo la sua personale stabilità, ora che dovrà definire le prossime fasi del suo “regno”: se ritenesse il partito un intralcio, non esiterebbe a cambiare progetto. In ogni caso, la vittoria di questo voto è davvero apparente: anche soltanto calcolando affluenza e voti ottenuti, emerge come il regime – malgrado i vantaggi di cui dispone rispetto all’opposizione – raccoglie il consenso solo del 25% del paese. Il sistema ha fondamenta pericolanti.
Opposizioni e stampa occidentale hanno denunciato brogli. Sono realmente state le elezioni meno libere da quando Putin è salito al potere nel 2000?
In questi giorni ho letto che queste non sarebbero state le peggiori elezioni di sempre, vista la concorrenza agguerrita. È possibile che in termini di brogli ai seggi, o caroselli di pullman carichi di elettori portati a votare, questa volta il regime abbia cercato di comportarsi meglio, pur di far apparire il risultato il più legittimo possibile. Ed evitare lo scenario bielorusso dello scorso anno, quando Aleksandr Lukashenko ha annunciato un risultato del tutto irrealistico. Per questo si sono mossi in anticipo: eliminando completamente l’opposizione “vera”, dichiarandola fuorilegge e impedendo la partecipazione a chiunque potesse mettere minimamente in pericolo il successo di Russia Unita. Mettendo a tacere la stampa indipendente, bollata come “agente straniero”. Dunque sì, sono state le meno libere.
Che elezioni sono quelle in cui si restringe in anticipo la possibilità di partecipare?
Nell’affermazione del partito comunista c’è lo “zampino” di Aleksej Navalnyj. In che condizioni versa il principale oppositore nazionalista di Putin?
È molto difficile distinguere l’impatto del progetto “Smart Voting” di Navalnyj – un’app che raccoglie una lista di candidati il meno allineati possibile a Putin, con l’intento di far convergere tutto il voto contrario al presidente e ostacolarne il controllo sulla Duma – dal voto tradizionale per il Partito comunista. Il 20% di questi giorni è stato favorito dal contesto di questi ultimi anni, dalla crisi economica e in particolare dalla protesta per la riforma delle pensioni. Però è vero che con “Voto Intelligente” Navalnyj è riuscito a farsi sentire anche da dietro le sbarre, ha invitato i suoi a non arrendersi e a votare comunque per non lasciare l’iniziativa solo al regime rassegnandosi. Dovrà reggere alla prova del tempo: la grande sfida per lui è riuscire a tenere accesa la fiamma della volontà di cambiare, malgrado stiano facendo di tutto per fargli terra bruciata intorno.
Il paese è considerabile una “democrazia”? Esiste una Russia anti-Putin?
La Russia di oggi non è una democrazia, ma neppure una dittatura totalitaria. Il regime ritiene di avere ancora bisogno di uno strumento come le elezioni per legittimarsi e garantirsi stabilità. Certo sono elezioni che non hanno niente a che vedere con l’alternanza, ma nello stesso tempo – solo per il fatto di esserci – lasciano aperto qualche spiraglio. Ci sono dibattiti, candidati d’opposizione “sistemica” che si fanno sentire e le fessure da cui la voce di Navalnyj e i suoi riescono a trapelare. Come ha scritto Mark Galeotti in Dobbiamo parlare di Putin: “sono gli spazi che la prossima generazione dovrà sfruttare per plasmare la nuova Russia”. Una Russia contraria a Putin esiste, ma per ora è prevalentemente rassegnata, o indifferente. Questo non esclude che ci sia comunque una Russia ancora sinceramente dalla parte di Putin, dentro un paese sempre più diviso.
Riconquistato il controllo della Duma, cosa dobbiamo aspettarci dalla politica interna ed estera dello “zar”?
La politica estera è totalmente in mano al presidente. Nella “nuova” Duma cambierà ben poco, tutto quello che dovrà fare è aspettare di capire come il Cremlino intenderà gestire il cammino verso le elezioni presidenziali del 2024. Se preparare il terreno a un ennesimo mandato di Putin, oppure a un erede: dovranno semplicemente votare quello che gli verrà detto di votare. Il vero punto di domanda che esce dalle elezioni è il successo dei comunisti, che hanno guadagnato posizioni. Finora hanno fatto parte dell’opposizione “ubbidiente” che ogni tanto alza la voce per poi seguire le direttive del Cremlino. Sarà interessante vedere se intendono trasformarsi in opposizione vera, magari raccogliendo il testimone da Navalnyj e i suoi. Il 20% è una percentuale che fa gola.
In questa legislatura Vladimir Putin festeggerà il quarto di secolo al potere, quali sono i progetti per il futuro del presidente?
Purtroppo, l’unico progetto che sembra interessare a Putin è la propria sopravvivenza. Con le elezioni ha mostrato anche all’élite che lo circonda e lo tiene in piedi – in un rapporto reciproco che fornisce benefici a entrambi – che si può andare ancora avanti così. Non ci sono progetti per cambiare il paese, migliorarlo dal punto di vista politico ed economico. Le condizioni della gente sono del tutto indifferenti, l’unica cosa che conta è la stabilità del regime. Penso sia la sconfitta più grande di Putin: vent’anni fa c’erano le possibilità per davvero la Russia in un paese sviluppato e democratico. I russi lo avrebbero seguito. Ora dovrebbe lasciare il testimone a qualcun altro, cosa che certamente Putin cercherà di procrastinare al più tardi possibile.