Perché leggere questo articolo: Per capire come Elly Schlein sia stata eletta sulla scia di un “voto di protesta”. Ovvero la sconfessione della leadership dem e delle scelte del partito stesso da parte dell’elettorato
Per la sesta volta il Pd ha fatto le primarie e per la quinta volta di fila il numero di votanti è sceso. 3,5 milioni nel 2007 i votanti, quando fu eletto segretario Walter Veltroni. 3,1 due anni dopo, nella corsa vinta Pierluigi Bersani. 2,8 e 1,8, rispettivamente, nei due successi di Matteo Renzi nel 2013 e nel 2017. 1,6 milioni per Nicola Zingaretti e 1,3 milioni per Elly Schlein, rispettivamente, nel 2019 e il 26 febbraio scorso.
Il senso della vittoria di Schlein
Onore al merito dei dem che, anche in una fase di involuzione, registrano la partecipazione e la presenza ai seggi. Ma complice la bassa affluenza sono possibili sorprese. E la vittoria di Schlein è diversa da quelle dei predecessori: per la prima volta la candidata scelta dall’elettorato non è quella vincitrice nel voto dei circoli come più votata. Una rivoluzione copernicana.
Forse Elly Schlein sarà la politica che rottamerà definitivamente il Pd. O magari sarà la segretaria che sposterà il Partito Democratico a sinistra facendole riconquistare spazi tra il suo ex elettorato. Ancora presto per parlare di una segreteria che è appena iniziata, ma c’è un dato di fatto: per la prima volta, il “popolo” del Pd sfiducia il suo apparato alle primarie.
Schlein vince contro l’establishment dem
La vittoria della deputata, ex vicepresidente della Regione Emilia, papessa straniera neo-(re)iscritta al Pd dalla tripla cittadinanza, cosmopolita e radicalmente progressista dopo esser stata renziana, sfiducia il voto dei circoli e l’apparato. Stefano Bonaccini aveva vinto tra gli iscritti e aveva incassato il sostegno di molti “capibastone” del partito.
Da Dario Nardella a Lorenzo Guerini, da Luca Lotti a Vincenzo De Luca: quasi tutti i big erano per “il duro” Bonaccini, l’uomo della vittoria contro la destra in Emilia-Romagna. Il “buon amministratore” che avrebbe dovuto guidare la ripartenza dai territori. Ma così non è stato.
Il trionfo del “modello Bologna”
Ha vinto la Schlein e ha vinto trainata da un elettorato che ormai è molto diverso dal Pd delle origini. Il laboratorio del Pd di Bonaccini è Ravenna: città rossa fuori e bianca dentro. Di Sinistra, ma pragmatica; laboriosa, industriale e attenta alla politica tradizionale. Quella del Pd di Elly Schlein è Bologna: la città dei movimenti, indistintamente rosa con sfumature di rosso (minoritarie) e verde (maggioritarie). Il cui simbolo è un elettorato che prima ancora che di Sinistra si definisce progressista. Affluente, istruito, con la volontà di declinare in chiave politica le problematiche dell’upper middle class: diritti civili, ambientalismo progressista, inclusività.
Paradosso dei paradossi: il Pd arroccato nei centri delle grandi città. partito in cui la nostalgia dell’era Draghi è ancora dominante vince perché il suo elettorato non perdona ai suoi dirigenti di essersi appiattiti troppo sull’agenda del fu (autoproclamato) “governo dei Migliori“.
Il Pd è più scalabile nell’era Schlein
L’apparato è completamente sconfessato. “L’analisi di molti era che la caduta di Draghi ad opera di Conte ci avrebbe portato un dividendo politico”, ha dichiarato di recente l’ex Ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia, di recente tra i pochi senatori a cavalcare la mozione Schlein fino alla vittoria. Così non è stato e Boccia è stato tra i pochi ex ministri a fare mea culpa, assieme a Dario Franceschini, intuendo che il voto delle primarie avrebbe assunto la portata di un voto di protesta. Ridottasi dai 3,5 milioni di voti che incoronarono Veltroni nel 2007 agli 1,3 di ieri (-70%), la corsa delle primarie è stata più scalabile. E non si è ridotta all’incoronazione coram populo di un candidato maggioritario nei sondaggi e nei circoli alla vigilia del voto.
E in quest’ottica la chiamata ai gazebo di un elettorato più motivato come quello urbano attento alle istanze di Schlein ha portato alla delegittimazione della scelta degli iscritti. E degli imprimatur della classe dirigente dem. Schlein si trova così ad essere la prima segretaria della storia del Pd ad aver scalato il partito contro la volontà della maggioranza degli iscritti e dei vertici. Ma al contempo questo pone opportunità di rinnovamento molto chiare e rischi di impasse.
Il rischio impasse
Schlein rischia di essere, fin dall’inizio del suo mandato, zoppa se non saprà venire a patti con un sistema che l’ha premiata a maggioranza non plebiscitaria e in cui molte rendite di posizione locali restano solide. Grande è la confusione sotto il cielo: e il fatto che un elettorato tradizionalmente associato all’establishment abbia segnalato con un voto “di protesta” la sfiducia verso la classe dirigente del suo partito di riferimento apre scenari che andranno valutati con attenzione. Indipendentemente dal percorso della segreteria Schlein.