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Lancia gatto e diventa virale: “Pessimo giornalismo che scimmiotta la rete”

Minore lancia un gatto da un ponte e diventa virale: “Pessimo giornalismo che scimmiotta la rete”

Perché leggere questo articolo? “Sovraesporre un minore per inseguire la viralità è la grave patologia di cui soffre il pessimo giornalismo di oggi, che scimmiotta la rete rendendosi complice della gogna mediatica”. Commenta così a true-news.it Alessandro Galimberti, già presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani, in merito al caso del minorenne che ha lanciato un gatto da un ponte.

Negli ultimi giorni ha suscitato molto clamore la vicenda di un minorenne sardo ripreso mentre lanciava un gatto da un ponte, tra le risate dei suoi amici. Un gesto ignobile, sadico e futile. Una bravata fatta solo per puro divertimento e forse per qualche like sui social. Perché il video shock è subito diventato virale. Scatenando un’ondata di polemiche e di indignazione, che presto si è trasformata in una gogna mediatica nei confronti del minore in questione e delle amiche con cui ha compiuto l’esecrabile atto. I ragazzini sono stati identificati e denunciati proprio attraverso i fotogrammi. E in rete sono immediatamente circolati i loro nomi, cognomi e addirittura indirizzi, con tanto di ricostruzioni live view di Google Maps.

Anche la stampa nazionale non ha risparmiato il colpevole, riprendendo la vicenda su ogni testata e pubblicandone il video. Contribuendo così a fomentare il Far West del mondo dei social, con i leoni da tastiera all’attacco con insulti e minacce contro il minore, costretto a chiudere i propri profili. Un fatto che non ha lasciato indifferente nemmeno Selvaggia Lucarelli che, pur condannando il “gesto orrendo” del minorenne, ha lanciato un duro affondo contro i suoi colleghi. “Questo ragazzino è stato individuato su tutti i social con nome e cognome. Le sue foto sono state diffuse, è stato minacciato di morte, sono stati minacciati i suoi genitori. Idem per gli amici presenti nel video. Avevo capito che bisognava dosare le forze, che i giornalisti hanno delle responsabilità nei confronti dei privati cittadini (figuriamoci se minorenni) blablabla, ma questo vale solo per chi vi sta sul c***o. Come sempre”.

Della stessa idea anche Alessandro Galimberti, già presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani, Cronista del Sole 24 ore Docente di proprietà intellettuale e di deontologia al master di giornalismo dello Iulm, interpellato da true-nwes.it. “Lucarelli ha ragione, ma la tutela dei minori deve valere sempre, senza eccezioni”, lanciando una stoccata alla giornalista. “Sovraesporre fatti minori, in particolare riguardanti ragazzi minorenni, per rincorrere la virtualità è la grave patologia di cui soffre il giornalismo di oggi. Un pessimo giornalismo che scimmiotta la rete e si rende complice della corrida della gogna mediatica”.

Il caso del minorenne che ha lanciato un gatto da un ponte è diventato immediatamente virale. Dando luogo a una gogna mediatica, a cui anche i giornali contribuiscono. La sovraesposizione che la stampa dà a fatti minori sembra infatti attivare e fomentare un meccanismo che sui social porta a un vero e proprio Far West. Lei che ha presieduto l’Ordine Giornalisti della Lombardia ed è docente di proprietà intellettuale e deontologia cosa ci può dire a riguardo?

Penso che tutto questo sia sintomo di una patologia molto grave di cui le testate di informazione soffrono ormai da 15 anni: ovvero scimmiottare il web, inseguendo un’idea di viralità vista come forma di business. Ma travolgendo al contempo tutti i valori che stanno alla base della funzione sociale del giornalismo e dei meccanismi del suo funzionamento. Pubblicare e diffondere il video dell’accaduto, localizzandolo con precisione, per il mero obiettivo di aumentare il traffico delle testate, ha un portato inevitabile e dannoso.

Quale?

Quello cioè di travolgere persone già in evidente difficoltà, che invece dovrebbero essere aiutate. Risolvendo e non aumentando i loro problemi attraverso la sovraesposizione e il meccanismo gangsteristico dei social, di cui lo stesso colpevole minorenne è vittima. Si tratta dunque di pessimo giornalismo che scimmiotta la rete solo per inseguire meccanismi di viralità. È scandaloso e inaccettabile che alcuni giornalisti prendano parte a questo teatro. Nel loro comportamento non c’è nulla da salvare.

Il gesto commesso dal minore è a tutti gli effetti un reato da condannare. Ma è la giustizia a doverlo fare. L’amministrazione di Lanusei, luogo in cui è avvenuto il fatto, sottolinea che anche la gogna mediatica deve essere condannata. Lei cosa ne pensa? Come si può intervenire a riguardo?

Il problema è grave e molto ampio. Da sempre sostengo che le piattaforme social, di fatto, funzionano come editori. E anche la Corte Europea lo conferma. È proprio questo il vero nocciolo del problema sociale. Se sono editori allora devono essere ritenuti corresponsabili dei contenuti che vengono messi a disposizione del pubblico. Dato che tutto quello che succede in rete è ampiamente visto e previsto da chi gestisce le piattaforme, bisognerebbe dunque chiamare a responsabilità e a sanzione i proprietari dei social. Scene di crudeltà come queste dovrebbero essere messe al bando. Per spezzare il meccanismo di viralità della gogna mediatica è necessario che le piattaforme intercettino e blocchino subito, attraverso i propri algoritmi di controllo, i video che presentano anomalie o forme di violenza. Ma le possibilità di intervento sono rimesse a politiche internazionali. Sui meccanismi di funzionamento della rete il giornalismo non può far nulla.

E cosa c’entra, allora, il giornalismo in tutto questo?

Il giornalismo dovrebbe essere almeno un territorio recintato dal punto di vista normativo, dove questi comportamenti non sono ammessi. Riprendere un video e localizzarlo, significa partecipare a questa corrida. Il dovere assoluto del giornalista, invece, è quello di tutelare questi soggetti problematici e non renderli riconoscibili. La Carta di Treviso sul tema è tassativa. Il minore, ad eccezione di circostanze molto particolari, non va mai identificato per fare in modo che lo stigma non rimanga per tutta la vita. L’obiettivo principale della normativa, infatti, è la tutela del minore sia in quanto vittima, sia nel caso in cui sia colpevole di infrazioni e reati. Partendo dal presupposto che un minorenne, essendo in età evolutiva, è recuperabile attraverso un percorso di sanzione e rieducazione. Senza che venga etichettato e segnato per sempre da condanne sociali e odio mediatico.

Secondo lei, il principio deontologico di tutela dei minori colpevoli viene rispettato in questo caso?

Quanto sta accadendo al ragazzino che ha lanciato il gatto va in direzione totalmente opposta. Questo piccolo teppista non lo stiamo recuperando, ma ne stiamo sviluppando l’aggressività che potrebbe sfociare in molto altro nella vita.

Lei crede dunque che sia sbagliato aver condiviso e diffuso il video, da un punto di vista etico, deontologico e pedagogico? Non contribuisce anche a evocare lo spettro dell’emulazione tra i giovani, cosa che il web insegna ogni giorno con le sue scellerate challenge?

Lungi da me spingermi a dire che questi fatti di cronaca non debbano essere riportati perchè provocano emulazione, ma ritengo che debbano essere soggetti a una valutazione di tipo giornalistico. La crudeltà sugli animali non è un fenomeno nuovo, c’è sempre stato. È la spia di un disagio psichico evolutivo di bambini e ragazzi che deve essere trattato in modo serio, sia da un punto di vista pedagogico, educativo, psicologico e anche psichiatrico in alcuni casi. La responsabilità dei giornalisti è quella di trattare l’argomento dentro ai binari del bilanciamento di tutti i valori in campo, ovvero il rispetto della legalità, delle vittime e degli autori dei reati. A maggior ragione se minorenni, come in questo caso. Devono quindi essere ancor più tutelati, adottando tutte le misure necessarie per evitare che si arrivi a un riconoscimento.