Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Le elezioni europee e in molti comuni anche le amministrative si avvicinano. Secondo uno studio delle Università di Verona e Pavia, in Italia l’astensionismo delle persone LGBTQ+ è del 6% più alto della media. Perché non si riesce a garantire a tutte le persone un esercizio libero del diritto di voto? Come si è organizzata di conseguenza la comunità LGBTQ+? Ne abbiamo parlato con Roberta Parigiani del MIT e Vincenzo Branà di Arcigay.
I dati sull’astensionismo delle persone queer in Italia derivano dalla ricerca L’opinione pubblica italiana e i temi LGBT+. Un’accettazione selettiva?, condotta dal dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Verona e da quello di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia. Lo studio, curato da Massimo Prearo, Federico Trastulli e Pamela Pansardi, mostra che l’astensionismo delle persone LGBTQ+ è del 6% più alto della media.
Soprattutto in un periodo in cui i programmi politici toccano da vicino le vite delle persone queer, è importante garantire un maggior accesso delle soggettività LGBTQ+ ai seggi elettorali. Di conseguenza Arcigay e Gay.it si sono attivati con la campagna Io Voto 24 per incentivare le persone queer a recarsi ai seggi e a portarsi dietro altre persone che da sole non andrebbero. Parallelamente il Gruppo Trans di Bologna da anni propone a chi organizza i seggi di attuare delle misure per renderli inclusivi e accompagna le persone trans a votare. Come in tanti altri campi, le persone trans sono tra le più soggette a discriminazioni.
Quali sono i principali ostacoli che impediscono alle persone trans di votare?
L’abbiamo chiesto a Roberta Parigiani, avvocata, attivista e portavoce politica del Movimento Identità Trans (MIT). “Parto dal presupposto che un paese democratico debba garantire a tutte le persone un esercizio libero del diritto di voto. E la libertà comporta anche la serenità di votare senza il timore di esporsi a discriminazioni o outing, soprattutto nel contesto di forte transfobia che connota purtroppo l’Italia.
Ciò detto, la discriminazione più macroscopica è data dalla divisione per genere delle liste elettorali (cristallizzata dalla legge) sulla quale si è poi costruita l’abitudine (quest’ultima, non supportata da alcuna legge o norma) dividere per genere anagrafico anche le file delle persone elettrici davanti ai seggi.
Si capisce bene che tale suddivisione espone ad un outing forzato coloro che hanno una identità di genere non conforme al genere assegnato alla nascita: io stessa, prima di ottenere la rettificazione anagrafica, mi sarei dovuta accodare nella fila maschile, pur avendo una identità, una socializzazione e una espressione di genere stereotipicamente femminile, costringendomi a un grande imbarazzo e un outing pubblico foriero di qualsivoglia discriminazione.
È giusto porre le persone trans dinnanzi all’alternativa tra esercitare il voto o tutelare la propria serenità mentale e fisica? Eppure questa situazione, che sarebbe inaccettabile per chiunque, passa quasi inosservata sé riguarda la comunità trans.
Visto che la divisione per genere davanti ai seggi non è imposta da nessuna norma o legge, c’è qualcosa che si può fare per richiedere e ottenere un diverso accesso alle urne?
La divisione dei registri è sancita da una norma statale, che andrebbe cambiata e riformata, magari prevedendo registri divisi per ordine alfabetico, ben più efficienti degli attuali.
In attesa di questa riforma, quello che si può fare sin da ora è prendere aperta posizione davanti alla persona che presiede il seggio in cui andremo a votare: chiedere di verbalizzare che la divisione delle file per genere è discriminatoria ed è una pratica arbitraria, non supportata da alcuna legge. Possiamo fare questo anche davanti agli Uffici Elettorali dei comuni, nell’auspicio che l’amministrazione emani circolari che invitano i seggi ad astenersi da dette prassi. In alcuni comuni, come a Milano, questa cosa già succede.
Cosa accade invece in caso di elettorato passivo?
Succede che le persone trans sono costrette ad essere indicate con il deadname [cioè il nome assegnato loro alla nascita], se non rettificato anagraficamente. Questa cosa espone, ancora una volta, a fortissimo disagio, discriminazione ed outing, disincentivando la partecipazione ai meccanismi democratici.
Mi domando come mai, in un paese in cui la Presidente del Consiglio invita a scrivere semplicemente “Giorgia”, non si possa serenamente chiarire, nero su bianco, il diritto delle persone trans ad essere indicate con il nome elettivo.
Se dovessi fare un invito alle persone trans perché esercitino il loro diritto di voto, cosa diresti?
Non mi sento di condannare l’astensione di chi è postə nell’alternativa tra mantenere la propria serenità/salute o esercitare il voto. Una alternativa di questo tipo è antidemocratica.
Chi può però dovrebbe andare: magari non abbiamo alleatə sincere, ma sicuramente abbiamo ben chiaro chi sono i nemici delle nostre identità. Ed in fin dei conti, lo strumento per arginarli rimane il voto. Votiamo, e supportiamo le candidature interne alla comunità”.
Proprio per sostenere le persone trans che vogliono votare nasce il progetto del Gruppo Trans Io Sono, Io Voto. A partire dal 2020 sul territorio nazionale e dalle amministrative del 2016 a livello locale (Bologna), si è attivata una rete di volontarie e volontari che accompagnano ai seggi chi non vuole affrontare il coming out in solitaria.
Andrea Ruggeri, presidente di Gruppo Trans, spiega: “IosonoIoVoto è una campagna che nasce perché ci rendiamo conto della violenza esercitata ai seggi sia con le persone che vengono in associazione, sia con il confronto con altre realtà europee dove questo problema non sussiste. La campagna prima di tutto è sensibilizzazione e sostegno a chi vuole votare.
Poi diventa una vera e propria mobilitazione dove associazioni come Sat Pink, Arcigay o il MIT, e dove i comuni di Bologna e altri Comuni hanno iniziato ad accordarsi e a promuovere lo stesso tipo di battaglie per dare massima diffusione al messaggio: ai seggi elettorali no discriminazioni! Negli ultimi anni IosonoIovoto è anche stata una strategic litigation, ovverosia una battaglia legale intentata dalla sottoscritta e da un’altra persona per chiedere l’eliminazione della divisione dalla normativa.
Abbiamo seguito tutti i gradi di giudizio grazie a un team legale veramente generoso e dedicato. La sentenza di cassazione 13764 del 2023 ci è stata d’aiuto perché anche se ha rigettato il ricorso ha detto che la divisione dei seggi è una mera evenienza fattuale – il ché implica che i comuni possono cambiare da sé l’organizzazione”.
Get Out To Vote
Anche Arcigay e Gay.it si sono attivati per ridurre l’astensionismo LGBTQ+, ideando la campagna Io Voto 24. La racconta Vincenzo Branà di Arcigay e coordinatore del progetto.
“Arcigay in occasione delle elezioni europee fa sempre rete con ILGA per raccogliere su Voto Arcobaleno tutti i candidati che sostengono o che vengono segnalati come vicini alle nostre tematiche. Si genera quindi uno strumento di guida al voto. Questa è la nostra dotazione standard.
Quest’anno però l’Università di Verona e il centro Politesse hanno elaborato uno studio molto importante che hanno presentato il 17 maggio e noi abbiamo avuto modo di interloquire con loro molto tempo prima, quando il sondaggio doveva ancora essere lanciato. Il sondaggio era finalizzato a misurare il consenso sui temi LGBT all’interno della popolazione italiana. Abbiamo chiesto all’Università di Verona di inserire anche una domanda che misurasse l’astensionismo delle persone LGBT. Questo perché sociologicamente le minoranze e i gruppi oppressi tendono ad allontanarsi più velocemente dal voto, perché non si sentono rappresentati. Questa conclusione era solo un’intuizione, non esisteva una misurazione empirica di questo dato. Alla chiusura del questionario abbiamo trovato che la popolazione LGBT ha un tasso di astensione più alto del 6% rispetto alla popolazione generale. Per lo meno alle scorse elezioni politiche.
Da qui siamo partiti e abbiamo sviluppato una campagna che costruisce l’empowerment della popolazione LGBT rispetto al voto e risottolineasse il voto come pratica politica coerente con il movimento. Una le pratiche politiche del movimento è il Pride e il Pride è rivolta. Però il movimento non è solo il Pride. Per esempio è anche Harvey Milk, quel pezzo di storia che ha scelto la via istituzionale per cambiare le cose da dentro. Quindi la nostra storia si fonda su questi due binari e risottolineare il fatto che i binari sono due, che non siamo solo un popolo di rivoltosi ma siamo anche cittadini e cittadini che con il voto determinano i propri rappresentanti era un passo culturale e politico da rimettere in campo in questo momento.
Questa grande campagna ha tantissimi canali. Ha una piattaforma di mailing list, si muove moltissimo sui social e soprattutto è una GOTV, Get Out To Vote. Vuole chiamare la gente votare e utilizza la pratica del canvassing, cioè dell’accendere conversazioni tra le persone, tessere reti. Ecco perché ci siamo dati la sfida dell’eight to eight, cioè che ogni persona ne coinvolga altre otto. Ogni persona viene responsabilizzata a creare intorno a sé la propria rete. Che non è solo un modo per moltiplicare i voti ma anche per costruire una comunità rispetto al voto.
Chiediamo anche di costruire una rete di sostegno attorno alle persone trans per esempio o alle persone anziane o con un difficile mobilità che possono avere difficoltà a raggiungere i seggi. Questo perché l’aspetto solidaristico è importantissimo nella nostra comunità.
Quali sono i principali ostacoli per cui le persone LGBTQ+ non votano?
Ovviamente per le europee a quel sentimento antipolitico di sfiducia, si somma quello di un’istituzione lontana, non ancora messa a fuoco dai cittadini e dalle cittadine, di cui non si comprende fino in fondo la funzione. Quindi le europee hanno un problema in più perché al tema della rappresentanza politica si somma un gap conoscitivo dell’istituzione europea.
C’è inoltre la ragione della divisione davanti ai seggi per genere. Infatti la campagna Io Voto 24 prevede una serie di consigli curati dalla nostra rete trans nazionale, che ha attinto dall’esperienza di mobilitazione delle persone trans in merito. Mettiamo quindi a disposizione una dichiarazione già precompilata da consegnare al presidente di seggio per far mettere a verbale questa problematica.
L’appello: “Il voto è autodeterminazione”
Uno dei pilastri valoriali della comunità LGBTQ+ è l’autodeterminazione. Noi in questo crediamo fortemente, è uno dei pilastri della nostra azione politica e anche della costruzione del senso di comunità. Il voto è principalmente autodeterminazione. Chi non vota fa scegliere ad altri su di sé e fa lo stesso errore della società che ci chiama col deadname e che ci impone le sue categorie. Non dobbiamo somigliare a quella società né avallarne i meccanismi. L’autodeterminazione sta in politica innanzitutto nel voto. Lo dimostra in maniera particolare com’è arrivata l’Italia a un governo di estrema destra: con l’astensione. E questo è un dato politico del quale tutte e tutti dobbiamo responsabilizzarci”.