Lezioni dal Covid: per il consigliere di Cdp “servono capitali pazienti per trasformare le città”. La celebre architetta: “Le case? Flessibili per adattarsi ad usi differenti”
di Francesco Floris
La domanda “Cosa ci ha insegnato il Covid?” per alcuni è esercizio retorico. Per altri è l’opportunità di dare una risposta guardando in direzioni ben precise. Parla di “tre grandi insegnamenti dalla pandemia” l’avvocato Carlo Cerami, membro del cda di Cassa Depositi e Prestiti e Presidente di Redo, uno dei più importanti soggetti che si occupa di housing sociale a Milano e in Lombardia. Se il covid è stato senz’ombra di dubbio una crisi sanitaria, guardando alla pandemia dal punto di vista di chi magari non si è ammalato, il 2020 è stato anche l’anno di una crisi abitativa e domestica – non fosse altro per i luoghi in cui ha costretto milioni di italiani a rinchiudersi. “Il Covid ha mostrato evidenti tratti di inadeguatezza complessiva del patrimonio esistente – dice Cerami a True Politcs – a partire da come il tema dello smart working impatti sui tagli degli appartamenti”. Non solo: “Pensiamo alla qualità dell’ambiente o all’accessibilità degli edifici”. Un’accessibilità che per Cerami deve fare i conti con le “nuove modalità di spostamento dentro le città, la cosiddetta mobilità leggera”. Risultato? “Tutto ciò che sembrava elemento caratteristico di un patrimonio numericamente limitato, e in parte elitario, oggi è invece un bisogno collettivo che necessita di giganteschi investimenti”. Guardando dove? “Rigenerazione del patrimonio edilizio esistente con priorità alle performance energetiche e alla distribuzione degli spazi”.
Sullo sfondo rimane una domanda: chi deve mettere soldi e risorse per finanziare questa trasformazione? “ La rigenerazione dei quartieri è uno dei capitoli delle politiche europee finanziabili attraverso il Recovery Fund – risponde il consigliere di amministrazione di Cdp – ed è chiaro che sul patrimonio di edilizia pubblica che solo in Lombardia conta 60mila abitazioni i capitoli di investimento devono essere pubblici”. Discorso diverso per l’edilizia privata sociale. “Si tratta principalmente di edilizia in affitto a basso costo che in Italia ha un dimensionamento di gran lunga inferiore a quello dei Paesi europei più evoluti”. Qui serve “un’inieizione sì di capitale paziente” ma che può essere “sia pubblico che privato”. “Ci sono istituzioni che gestiscono un portafoglio di denaro dei risparmiatori e che per policy possono decidere di investirlo in parte in operazioni ad alto rendimento ma dall’altra in operazioni di tipo sociale che come caratteristica hanno un rendimento certamente molto più basso ma dilatato nel tempo”.
Una città “sicura”, “accessibile a tutti” ma soprattutto “fluida” dal punto di vista delle opportunità. Che cosa diventa “l’abitare” dentro questa città? “Di certo “non è solo possedere una casa”. Anzi. Lezioni dalla crisi. L’architetta Patricia Viel, co-fondatrice dello studio milanese Citterio-Viel, traccia la linea per il futuro che si immagina. “Il concetto differente di abitare che abbiamo conosciuto quest’anno” è legato “alla presenza di servizi essenziali di immediata accessibilità vicino alla propria casa”. Con “l’edificio”, “il condominio”, che si trasformano e “vanno oltre il proprio appartamento”. Cosa ci serve? “Avere luoghi di socialità che possano permettere alle persone di aiutarsi costruendo finalmente una rete sociale che vada ben oltre la sola famiglia”. Come farlo? “Il sistema di relazioni deve permeare i piani terra degli edifici – dice Viel – la stessa divisione fra spazio pubblico e spazio privato deve diventare molto più labile di quanto è stato fino ad oggi”. Per la celebre architetta “dal punto di vista immobiliare diventa ora cruciale efficientare con parametri di qualità: le case devono essere flessibili, adattabili a usi differenti in momenti diversi della giornata, perché abbiamo imparato che si possono fare tantissime attività anche in spazi ristretti se pensati per essere versatili”. Questo sotto il profilo domestico. Mentre rimane il tema “dell’abitare collettivo”. Dove Viel vede come sempre più cruciale lo “spazio pubblico da ridefinire”. Sia inteso per le “sue qualità intrinseche” sia “come luogo dove il vivere civile si manifesta”.