Una delle leggi-chiave della globalizzazione, studiata sia dai grandi teorici come Immanuel Wallerstein e Giovanni Arrighi, è quella che prevede la creazione di nuovi equilibri di potenza interni al “sistema-mondo” sulla scia dell’avanzata delle nuove supply chain commerciali e della formazione di sotto-sistemi regionali connessi all’accumulazione di potere industriale, economico e, di converso, geopolitico in nuovi Stati in ascesa, come dimostrato dai casi di Cina e India.
Questa lezione, valida per gli Stati, si applica anche ai casi delle grandi organizzazioni criminali, soprattutto quelle di stampo mafioso, che si sono plasticamente adattate alla globalizzazione unendo con sagacia, in maniera parassitaria, lo sfruttamento dei suoi vantaggi (apertura dei mercati, interconnesione globale, aumento degli scambi di merci e persone) alla velocità operativa garantita dalla presenza di camere di compensazione come paradisi fiscali e Stati dalla dubbia tenuta in cui nascondere capitali e traffici illeciti. Oltre, ovviamente, che dalla proiezione globale delle cosche.
La droga e i traffici all’epoca della globalizzazione
Ora non c’è dubbio che uno degli strumenti principali attraverso i quali le organizzazioni criminali si sono internazionalizzate è stato certamente il commercio della droga, commercio che per lungo tempo è stato monopolio di Cosa nostra. A tale proposito tra gli studiosi del settore circola un provocatorio parallelismo, nonché battuta molto efficace, che sostiene che Cosa Nostra sta alle altre organizzazioni illegali internazionali come Michelangelo sta ai Manieristi. Dalla Pizza Connection alla triangolazione con piazze di spaccio quali Marsiglia la Mafia siciliana negli Anni Ottanta e Novanta ha fornito le metodologie e le prassi con cui le nuove organizzazioni emergenti hanno potuto appropriarsi delle rotte della droga, costruite sulla scia dell’ascesa di nuovi El Dorado del settore come Messico e Colombia.
La ‘ndrangheta si è appropriata di molti dei vecchi traffici della Mafia siciliana e, all’ombra del Santuario di Polsi, le ‘ndrine calabresi hanno potuto orientare la strategia che ha portato alla proiezione globale della Mafia della Statale 106 e all’alleanza strategica con i nuovi cartelli colombiani, sempre più attenti alla costruzione di alleanze finanziarie transnazionali. “Sono addirittura i nuovi cartelli colombiani a voler creare joint-venture con la ’Ndrangheta perché sanno che tale collaborazione sarà redditizia per entrambe le parti”, nota Eurispes. “Per proprio conto, la ’Ndrangheta rafforza la posizione di monopolio nei grandi traffici di cocaina in campo europeo. I colombiani, invece, ottengono dai nuovi soci la possibilità di entrare nel mercato europeo riducendo i rischi al minimo”.
L’alleanza mondiale della criminalità
Marco Giaconi, politologo e analista geopolitico scomparso nel 2020 che chi scrive ricorda come amico e maestro, scrisse nel 2000 il fondamentale saggio “Le organizzazioni criminali internazionali. Aspetti geostrategici ed economici“ in cui evidenziò un’ulteriore potenzialità dei cartelli colombiani, kingmaker della nuova invasione della cocaina in Europa, Nord America e nel resto del mondo: l’ecletticità nella scoperta di nuovi mercati. La collaborazione con la malavita russa ai tempi della gravissima crisi della Federazione precedente l’era Putin è diventata a tal punto sinergica che diverse organizzazioni criminali russe hanno aperto delle vere proprie banche offshore in varie isole caraibiche proprio allo scopo di agevolare il lavaggio del denaro sporco.
Ma non finisce qui. Negli ultimi anni è nata una nuova rotta che porta la droga latinoamericana nel Golfo Persico, in particolare in Qatar. Doha è sia un punto di transito verso Europa e Asia sia un mercato nascente.
La globalizzazione delle rotte della droga ha prodotto, per eterogenesi dei fini, nuovi spazi per ulteriori attività criminali. Nel suo saggio Mercanti di uomini (2017) la giornalista Loretta Napoleoni ha analizzato l’esistenza di rotte criminali figlie della complessa catena logistica e delle perverse alleanze tra trafficanti di droga, jihadisti e malavita internazionale originatesi in seguito all’emanazione del Patriot Act americano nel 2001. E lo ha compreso studiando il sistema istituito da Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) per programmare i rapimenti e i trasferimenti degli ostaggi negli ampi e in larga parte desolati spazi del Mali e dei Paesi circostanti e sfruttato dai trafficanti di esseri umani desiderosi di migrare in Europa.
La droga e la “crisi da globalizzazione”
In sostanza, a breve distanza dalle stragi dell’11 settembre la maggiore pervasività dei controlli negli Stati Uniti aveva spinto i narcos colombiani a individuare una nuova rotta per il trasbordo della cocaina in Europa. Individuando nel trasbordo di ingenti carichi di droga in Guinea Bissau e, in seguito, in un lungo trasporto “via terra, attraverso le vecchie rotte transahariane, con la droga occultata in camion e Suv”, che rilanciò il potenziale comunicativo delle direttrici in seguito sfruttate dai “mercanti di uomini”.
L’elevata complessità del sistema internazionale creato dalle rotte della droga disegna una nuova geopolitica delle mafie in cui l’alleanza tra organizzazioni criminali, cartelli e gruppi terroristi funge da moltiplicatore di potenza del potere criminale globale. Questo crea come conseguenza un incremento delle difficoltà insite nel tracciare, colpire e ridimensionare i traffici e una vera e propria crisi da globalizzazione nel rapporto tra Stati e organizzazioni criminali. Di cui la crescente esposizione di gruppi organizzati come la ‘ndrangheta su scala internazionale è una preoccupante conseguenza.