Perché leggere questo articolo: Il caso Crosetto lo insegna: c’è un’assenza di comprensione nel dibattito pubblico su cosa sia un lobbista e del tema del conflitto di interessi. Cinque punti su perché il neo-Ministro della Difesa non è in una posizione tale da rendere in conflitto la sua posizione
Guido Crosetto è divenuto Ministro della Difesa nel governo Meloni passando dalla carica di presidente dell’Associazione Industrie dell’Aerospazio e della Difesa (Aiad). La “Confindustria” di un settore strategico che ora si troverà a governare politicamente. Molti, soprattutto da sinistra, sono insorti definendo Crosetto in palese “conflitto di interessi” o addirittura un lobbista.
Crosetto, un politico di ritorno dall’impresa
Com’è noto Crosetto ha querelato Stefano Feltri e Domani per aver definito “in palese violazione del diritto la continuità tra le consulenze ottenute da Crosetto a Leonardo e il suo ruolo politico”. Ma definire il politico piemontese un lobbista è fuorviante. E, anzi, ci invita a riflettere apertamente su quanto poco sia conosciuto il mondo dei portatori d’interesse nel sistema mediatico e informativo.
Crosetto non può essere definito lobbista perché, prima di tutto, è stato negli ultimi anni uomo d’impresa. L’Aiad è un’associazione di categoria, parificabile a Confindustria, che rappresenta esplicitamente gli interessi delle aziende del settore. Non rappresenta terze parti, ma si inserisce da ente riconosciuto nel dibattito tra pubblico e privato in questo campo.
Aiad e Orizzonte: le nomine di Crosetto non arrivavano da Fdi
In secondo luogo, Crosetto ha ottenuto cariche legate alla fiducia concessagli da imprese a partecipazione pubblica, addirittura in epoca di governi di segno avverso rispetto a Fratelli d’Italia. Leonardo (ai tempi Finmeccanica) ha sostenuto il suo passaggio all’Aiad nel settembre 2014 nominandolo lo stesso anno Senior Advisor. Quell’anno si era insediato a Roma il governo Renzi che aveva confermato nel round di nomine come presidente Gianni De Gennaro, mentre Mauro Moretti, già amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, era stato nominato amministratore delegato e direttore generale.
Nell’aprile 2020, inoltre, è stato nominato presidente di Orizzonte Sistemi Navali, joint venture delle partecipate pubbliche Leonardo e Fincantieri. A Roma governava in quel periodo il governo Conte II di centrosinistra e in Piazzale Montegrappa era già ad l’attuale top manager di Leonardo, Alessandro Profumo, vicinissimo al Partito Democratico.
Come funziona l’export di armamenti in Italia
In terzo luogo, per come funziona il settore dell’export di armamenti e la rappresentanza del Paese nessun contratto può essere siglato da un’azienda del settore senza un via libera delle autorità pubbliche. Se il lobbismo è favorire un potentato economico o un interesse di parte di fronte a un potere pubblico per oliare i meccanismi decisionali e se per le big della Difesa il massimo delle prospettive sta nel favorire le vendite all’estero degli armamenti, in questo caso il tema è diverso. L’Aiad, insomma, non può invitare il governo a esportare armi a un altro governo: può giocare in sinergia con le autorità. E – dato più importante – non è il Ministero della Difesa oggi guidato da Crosetto a detenere questa autorizzazione.
In tal senso nel 2012 è stata istituita, presso il Ministero degli Esteri l’Autorita’ nazionale – UAMA (Unita’ per le autorizzazioni dei materiali d’armamento). E’ chiamata a garantire l’applicazione della normativa italiana, integrata da quella europea ed internazionale.
Le richieste delle società all’UAMA, volte ad ottenere licenze di esportazione di materiali d’armamento, sono esaminate in modo rigoroso ed articolato. Ogni contratto deve ricevere il bollino dalla Farnesina. Che quale può bandire ogni autorizzazione unilateralmente in applicazione della Legge 185/1990.
La Farnesina prevede che le aziende produttrici di armamenti chiedano al governo le autorizzazioni a esportare e vieta di fornire armi a Paesi in conflitto armato, in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione. Allo stesso modo, il Ministero della Difesa ha poteri di spesa o di commessa diretta senza i bilanci accordati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Quindi Crosetto, da titolare della Difesa, può indubbiamente portare una sensibilità personale attenta alle richieste e alle esigenze del complesso militare-industriale. Ma non può in alcun modo essere lobbista della sua stessa ex organizzazione o delle aziende per cui ha operato o fatto consulenza, delle cui quote di partecipazione si è completamente privato all’accettazione dell’incarico. Dunque in questo caso non si vede alcun conflitto di interessi.
Crosetto? Non sarà lui a nominare i big del settore
Quarto punto, Crosetto non avrà alcun potere formale di nomina né in Leonardo né in alcuna delle big della Difesa partecipate dal Mef e non dal suo dicastero. Sarà dunque Giancarlo Giorgetti, assieme a Giorgia Meloni, a decidere sulle nomine.
Via XX Settembre possiede il 30,2% di Leonardo e, tramite Cdp, la controllante di Fincantieri, Cdp Industria (che ne possiede il 71,3% delle quote); Leonardo possiede a sua volta il 29% di Avio, società italiana dei lanciatori, il 67% di Telespazio e il 31% di Elettronica.
Queste aziende rappresentano buona parte dei gioielli di famiglia della Difesa italiana e sono, come viste, saldamente in controllo dello Stato in forma diretta o indiretta. Dunque non possono nemmeno essere definiti potentati privati slegati dallo Stato stesso e desiderosi di un lobbismo sistemico.
Porte girevoli politica-industria? Molti casi prima di Crosetto
Infine, non si può accusare Crosetto di lobbismo o conflitto di interessi in assenza di un regolamento chiaro sulle “porte girevoli” tra mondo delle industrie e sfera governativa e amministrativa. Per limitarci al solo comparto della Difesa, De Gennaro è diventato presidente di Leonardo dopo esser stato autorità delegata alla Sicurezza della Repubblica, Marco Minniti presidente di Leonardo-Med Or dopo aver servito da Ministro dell’Interno.
Sul fronte di chi ha fatto il percorso opposto Corrado Passera è giunto al ruolo di Ministro dello Sviluppo Economico nel governo Monti venendo direttamente dal comparto bancario e Roberto Cingolani pescato dal mondo dell’industria, guarda caso proprio Leonardo, per lavorare da Ministro della Transizione Ecologica nel governo Draghi. Sempre con Draghi, il Ministro dell’Innovazione è stato Vittorio Colao, a lungo ad di una big mondiale del settore delle telecomunicazioni, Vodafone. La competenza tecnica o l’esperienza passata in un dato settore è necessariamente sintomo lobbismo? Non ci sembra affatto.
Un problema culturale
In generale, dunque, ciò che in Italia manca è una consapevolezza di sistema-Paese a tutto campo che nelle facili accuse lanciate da Feltri e altri emerge. Ci sono settori in cui il Paese fa squadra trasversalmente e in cui è chiaro che una comunità di figure professionali si formi e si plasmi. La Difesa, come le Tlc, è una di queste. Al contempo, sul tema stesso del “fare lobbying” c’è in Italia un’accezione negativa nella narrativa pubblica connessa, tra le altre cose, all’assenza di una legge organica in materia.
La realtà andrebbe ricondotta al significato in nuce del concetto e non a quello, spregiativo, con cui la si intende. Che – vedasi le analisi di Feltri su Crosetto – lo confondono con quello di conflitto di interessi. Fare lobbying significa rappresentare interessi particolari presso le Istituzioni pubbliche. Significa portare nelle diverse sedi istituzionali e con modalità varie, il punto di vista di chi si troverà poi a dover “subire” le conseguenze di una norma, di quelli che in inglese sono chiamati stakeholder. Il conflitto d’interessi è invece la fattispecie che si verifica quando è affidata un’alta responsabilità decisionale a un soggetto che ha interessi personali o professionali in contrasto con l’imparzialità richiesta da tale responsabilità, che può venire meno a causa degli interessi in causa. Vediamo dunque che, in quanto Ministro, Crosetto non può essere per sua natura definito “lobbista” né, per i motivi spiegati, lo era apertamente ai tempi dell’Aiad.
In termini di conflitto di interessi, in assenza di una norma che crei una barriera tra l’aver rappresentato un settore a livello imprenditoriale e l’aver fatto da consulente alle aziende da un lato e l’assumere cariche pubbliche dall’altro, il punto è lo stesso. Parliamo di un politico che ricoprirà un incarico in un settore in cui è sicuramente un professionista con esperienza alle spalle, ma delle cui partecipazioni e cariche dirette non ha più disponibilità. Come se un avvocato si trovasse a fare il Ministro della Giustizia o un manager il Ministro dell’Economia. In questo caso la matrice politica e partitica del ruolo, che vede Crosetto Ministro da membro a pieno titolo di Fdi, toglie ogni ambiguità. Dunque il problema vero in Italia è l’assenza di un’interpretazione chiara e organica delle norme a livello mediatico da un lato e la difficoltà a pensare a livello di sistema dall’altro.