Sostenibilità, energie rinnovabili, lotta al cambiamento climatico, graduale diminuzione delle emissioni di carbonio e tanto altro ancora. Negli ultimi anni il tema green delle politiche ambientali ha quasi cannibalizzato l’agenda dell’Unione europea. Il problema è che Bruxelles si è mossa per lo più a parole, visto che continuano a sussistere numerose pratiche inquinanti responsabili di quelle stesse cause che l’Ue vorrebbe risolvere.
Africa pattumiera d’Europa
Prendiamo lo smistamento dei rifiuti perpetrato da organizzazioni criminali e da aziende senza scrupoli, desiderose di risparmiare sulle spese di recupero e smaltimento e incuranti dei danni ambientali di uno scorretto riciclo. Dagli smartphone ai tablet, dai vecchi vestiti inutilizzati alle automobili, passando per la paccottaglia inutilizzabile e addirittura sostanze altamente tossiche: ebbene, tutto questo, anziché subire appositi processi di recupero e riciclo, finisce sempre più spesso in Africa. Se è vero che una parte dei prodotti citati trova una nuova vita, è altrettanto vero che il resto dell’oggettistica varia spedita dal Vecchio Continente va ad avvelenare una regione, quella africana, di per sé già fragile e depressa.
Rifiuti elettronici: solo il 17% resta in Europa e Stati Uniti
I dati Onu sono emblematici: appena il 17% dei rifiuti elettronici di Stati Uniti ed Europa viene raccolto e riciclato nei modi opportuni. E il resto? Riappare magicamente in Africa, dove i costi per un eventuale smistamento sono irrisori, oppure dove è possibile guadagnare attraverso il mercato nero dei rifiuti. Anche i rifiuti più inquinanti.
Rifiuti europei: il disastro del 2006 in Costa d’Avorio
Tra le tante storie raccontate, fece particolarmente scalpore quanto avvenuto in Costa d’Avorio nel 2006. La multinazionale di commercio di materie prime con sede a Singapore, Trafigura, doveva smaltire un po’ di tonnellate di rifiuti potenzialmente tossici provenienti dai Paesi Bassi. Il costo dell’operazione era di circa 500mila euro, una cifra giudicata eccessivamente alta dalla stessa azienda. Trafigura decise quindi di mettersi in contatto con un imprenditore ivoriano che accettò di smaltire tutto in 12 siti non distanti da Abidjan per poco meno di 20mila euro. Nel farlo, sostenne che quel materiale non era dannoso e non richiedeva alcun trattamento. Risultato: danni incalcolabili per l’ambiente della Costa d’Avorio.
E-Waste, le maxi-discariche in Senegal, Nigeria e Ghana
Casi del genere sono piuttosto comuni e coinvolgono anche altri Paesi, come Senegal, Nigeria e Ghana, giusto per citarne tre. A proposito del Ghana, da queste parti sono ammassate tonnellate di e-waste, ovvero rifiuti elettronici e apparecchiature di scarto, come schermi, cavi e vecchi dispositivi. Oggetti del genere richiedono di essere smaltiti nel modo giusto, dato che sono formati da materiali che, se bruciati o gettati in comuni discariche, inquinano l’ambiente circostante e danneggiano la salute umana.
Ad Agogbloshie, nei pressi della capitale ghanese Accra, c’è un’enorme discarica – la più grande al mondo di questo tipo – al cui interno cittadini poveri o poverissimi passano le giornate a processare, senza la benché minima protezione o i suddetti rifiuti “made in EU” per 3-4 dollari al giorno.
In Nigeria, invece, prima del Covid ogni mese sbarcavano container stracolmi di dispositivi elettronici usati provenienti ovviamente da Europa, Stati Uniti e pure Asia. Prodotti, attenzione bene, carichi di metalli pesanti, piombo e mercurio, talvolta mal gestiti e bruciati senza conoscere le conseguenze. Pare, poi, che oltre il 70% dei capi d’abbigliamento e delle calzature buttate via a livello globale arrivi nei Paesi africani, dove la metà di loro risulterebbe inutilizzabile, mentre l’altra metà verrebbe rivenduta a prezzi stracciati in mercati cittadini.
L’Africa si è così trasformata in una vera e propria discarica dell’Europa (e non solo). Le motivazioni della debacle sono molteplici: troppo deboli e con pochi mezzi le autorità locali; inerme l’opinione pubblica africana; avidi gli uomini desiderosi di lucrare sul mercato nero dei rifiuti, boicottando il futuro del Continente Nero; incapace di agire l’Occidente, Unione europea compresa.
Il trucco: spacciare i prodotti come elettronica di seconda mano
Alcune stime riportano cifre allarmanti. A questo proposito è interessante leggere la Convenzione di Basilea, in vigore dal 1992, che etichetta come criminale il traffico di rifiuti pericolosi verso i Paesi in via di sviluppo. Ciò nonostante, le norme vengono facilmente aggirate. Poiché la stessa Convenzione consente un’eccezione per i rifiuti elettronici riparati dopo l’arrivo a destinazione, gli esportatori definiscono i loro prodotti come elettronica di seconda mano (anche se non è affatto vero). Il gioco è fatto, e i controlli sono solo un lontano ricordo. In tutto questo l’Europa “green” non riesce a riciclare tutto ciò che produce. Peggio ancora, le istituzioni europee hanno dimostrato di non essere in grado di monitorare il mercato nero dei rifiuti. I quali continuano ad essere esportati in Africa da soggetti “invisibili” che contribuiscono a inquinare l’ambiente africano e le popolazioni locali.