Perché leggere questo articolo? Il governo italiano finanzia con 1,4 miliardi di euro le missioni nel mondo. Vediamo dove sono e come fanno le nostre truppe.
Guido Crosetto si è recentemente recato in Libano per incontrare i militari italiani schierati nella missione di pace Unfil, che da quarant’anni garantisce la stabilità del Paese mediorientale. La visita del Ministro della Difesa nel Paese mentre le milizie di Hezbollah agitano l’area attorno alla Blue Line sparando colpi su Israele richiama all’attenzione sull’importanza dell’impegno militare dell’Italia all’estero. Quanto “rende” in termini politici e d’interesse nazionale l’investimento e il rischio insito nel piazzare truppe in scenari tanto sensibili? L’annosa questione è oggi più che mai attuale.
Libano, Kosovo, Sahel: le truppe italiane in area di crisi
Nel 2023 il Libano è il terzo scenario in cui animate tensioni geopolitiche hanno coinvolto Paesi ove sono stanziati militari italiani. Delle 35 missioni all’estero, quella Onu Unfil, quella Nato Kfor in Kosovo e quella della task force italo-francese in Niger sono sicuramente tra le più delicate. E tutte e tre si sono ritrovate investite dalle turbolenze regionali.
In Kosovo l’Italia ha visto il suo contingente dover mediare tra i nazionalisti locali e la Serbia, che ha portato a scontri di confine e al rischio escalation militare. In Niger, come noto, il golpe antifrancese ha portato all’espulsione dei rappresentanti di Parigi nel Paese. Ma non ha toccato la task force italiana.
In questi scenari la presenza dei nostri militari ha giocoforza dato a Roma una proiezione politica per discutere del futuro degli scenari di riferimento. Equazione complessa in Africa, dove il Piano Mattei va a singhiozzo, ma affrontata con attenzione dal governo Meloni nei Balcani, con il sostegno di Roma a una de-escalation e all’avvicinamento dei Paesi dei Balcani occidentali all’Unione Europea. Rompicapo strategico in Medio Oriente, laddove ubi maior, ovvero gli interessi di superpotenze come Usa e Cina, minor cessat. E ai militari italiani è delegato un compito comunque critico: vigilare la stabilità di una polveriera sempre pronta a esplodere.
Le altre missioni di Roma
Complessivamente sono 11mila i militari italiani impegnati nella quarantina di missioni in cui le nostre forze armate sono schierate. Si va dalla missione di addestramento all’Ucraina al pattugliamento aereo dei confini Nato dalla Lituania alla Bulgaria. Sulla diga di Mosul insiste la protezione della Missione Nato in Iraq, guidata dall’Italia per addestrare le truppe del Paese mediorientale contro l’insorgenza jihadista.
Nell’area del Golfo Persico l’Italia partecipa all’operazione European-led Maritime Awareness Strait of Hormuz (Emasoh) volta a supervisionare l’area nella zona marittima presso l’Iran. E dal Golfo di Guinea al Mar Rosso sono attive le missioni antipirateria, mentre con la Libia è in atto il pattugliamento nel quadro dell’operazione “Mare Sicuro”.
Un miliardo e mezzo per Difesa e politica
Il ministro Crosetto, dall’entrata in carica un anno fa, ha come riportato dall’Istituto Affari Internazionali cambiato l’attenzione alle manovre all’estero “valutando le missioni in termini di risultati, che dovranno andare aldilà dell’aspetto prettamente militare e considerare anche, ad esempio, economia, sicurezza interna, istruzione e sanità”.
La spesa complessiva dell’Italia per le missioni è deliberata, ogni anno, in Manovra e rimandata poi a un decreto di finanziamento da votare in Parlamento. Lo stanziamento per il 2023, per il secondo anno consecutivo, è superiore agli 1,4 miliardi di euro, in leggero aumento dopo che nel 2021 aveva toccato quota 1,35 miliardi. Nel mondo della Difesa non si nasconde l’idea che nel 2024 il totale possa salire a 1,5 miliardi di euro.
240 milioni servono a finanziare la missione Nato a Est, dal Baltico al Mar Nero, e a mantenere 2.300 uomini attivi per la deterrenza anti-russa. La missione in Iraq costa 272 milioni di euro, Unfil 149 e quella in Kosovo 105 milioni di euro l’anno, secondo i calcoli dell’Osservatorio Mil€x. Aggiungendovi i 104 milioni destinati a Mare Sicuro, siamo a oltre il 60% del totale della spesa per sei missioni. L’investimento può essere ritenuto in prospettiva accettabile se per l’Italia questo significherà proiezione e rafforzamento strategico del Paese. Dovranno essere evitate missioni future simili a quella dell’Afghanistan, dove per onorare alleanze l’Italia si è impegnata in teatri poco adatti alle sue prospettive militari d’ingaggio. Ricavandovi in cambio solo problematiche militari e, purtroppo, lutti.