Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’Italia è uscita ufficialmente dalla Via della Seta. Il governo Meloni ha voltato pagina, si è smarcato dalla Cina e ha rivisto le sue alleanze internazionali. Dall’Albania all’India, ecco su chi punta Roma.
Voleva abbandonare la nuova Via della Seta in silenzio, senza generare polemiche o strappi con la Cina. Da mesi circolavano voci sulla volontà italiana di non rinnovare la partecipazione al progetto infrastrutturale cinese. L’ufficialità è adesso arrivata.
La Farnesina, nei giorni scorsi, ha consegnato una nota a Pechino per informare della decisione tanto attesa. Una decisione che il governo cinese si aspettava e che, al momento, non dovrebbe generare conseguenze nefaste. Anche perché la Cina deve fare i conti con qualche inghippo economico interno di troppo, e per adesso ha accettato la promessa di Roma di “sviluppare e rafforzare la collaborazione bilaterale”.
Resta da capire, tuttavia, lo spazio d’azione economico che il gigante asiatico garantirà all’Italia nel medio-lungo periodo. Quando le tensioni economiche si diraderanno. E quando il Dragone potrebbe scegliere di puntare su altri partner europei.
La nuova mappa delle alleanze internazionali di Roma
Giorgia Meloni ha voltato pagina rispetto al passato, aggiornando la nuova stagione delle alleanze internazionali dell’Italia inaugurata con la sua salita al governo. Con scommesse, talvolta, rischiose. Come puntare sull’India al posto della Cina. Rafforzare i rapporti in Europa con Albania, Ungheria e Polonia – con i quali fare sponda in ottica migranti – a discapito di Francia e Germania. E ancora: affidarsi, in Africa, all’instabilità cronica di Tunisia, Mozambico e Congo e altre nazioni (come l‘Algeria) per attuare il famigerato Piano Mattei e contrastare l’immigrazione illegale. Il tutto cementato con un ulteriore avvicinamento agli Stati Uniti, soprattutto in politica estera.
Dalla Cina all’India: la prima scommessa di Meloni
Il passo fin qui più eclatante è coinciso, come detto, con la retromarcia sulla Belt and Road Initiative (BRI). Nessun rinnovo del Memorandum d’Intesa firmato con la Cina, nel 2019, dall’allora esecutivo Conte. Lo scorso marzo, al contrario, in occasione del G20 tenutosi a Nuova Delhi, Italia e India hanno elevato le loro relazioni a livello di partenariato strategico.
Non solo: Meloni ha incontrato il premier indiano, Narendra Modi, e firmato il Memorandum per aderire al Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa. Un progetto, da molti definito l’anti Via della Seta cinese, volto a stimolare lo sviluppo economico tra Europa e Asia, attraverso il Medio Oriente.
Se la BRI, come sostenuto dal governo italiano, non ha portato a Roma benefici economici attesi, il Corridoio indiano potrebbe addirittura non portarne neanche mezzo. Complici le tensioni tra Israele e Hamas, la regione mediorientale – il cuore dell’iniziativa promossa da Delhi – è infatti adesso scossa da un terremoto geopolitico e militare. Che potrebbe compromettere ogni iniziativa locale.
La reazione cinese e gli alleati chiave dell’Italia
I quotidiani cinesi non hanno dato risalto all’uscita dell’Italia dalla BRI. Hanno accolto la notizia con freddezza, così come fredde sono state le parole di Wang Webin. “La Cina si oppone fermamente alla denigrazione e all’indebolimento della cooperazione sulla costruzione Belt and Road, e si oppone allo scontro tra campi”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese.
Lo stesso Wang ha sottolineato come siano oltre 150 i Paesi che hanno aderito alla ” più grande piattaforma di cooperazione internazionale oggi al mondo”. “Ciò incarna l’enorme fascino e l’influenza globale della costruzione congiunta della Belt and Road”, ha aggiunto l’alto funzionario, ricordando come l’Italia, nel recente passato, abbia partecipato al forum BRI di Pechino.
Nei mesi scorsi, il quotidiano cinese Global Times aveva pubblicato due articoli interessanti. Nel primo al quale ci riferiamo, scritto ad agosto, la testata faceva presente che dal 2019 al 2022 l’interscambio commerciale bilaterale tra Italia e Cina era cresciuto quasi del 42%, e che le esportazioni italiane verso la Cina sono aumentate del 42% dal 2019 al 2021 e del 58% nei primi cinque mesi del 2023. Cifre che rifletterebbero “il forte effetto della Bri”, avvertiva il giornale. A settembre, invece, lo stesso giornale faceva presente che l’eventuale ritiro dell’Italia dalla BRI non avrebbe rappresentato una battuta d’arresto nei rapporti con la Cina.
Tornando al presente, mentre Roma spera di continuare ad avere ottime relazioni economiche con Pechino – da implementare facendo leva sul partenariato strategico firmato dai due Paesi oltre dieci anni fa – il Dragone osserva in silenzio. In futuro altri Paesi (dalla Francia all’Ungheria) potrebbero, almeno in parte, occupare la corsia preferenziale un tempo appartenuta all’Italia. Ma mai sfruttata a dovere dai vari esecutivi italiani dal 2019 ad oggi.