Si chiamano “false partite Iva“. Ovvero gente che dovrebbe essere indipendente, e libera di lavorare come gli pare, ma che alla fine ha turni di lavoro, pause pranzo (o non pause pranzo), obblighi di presenza, eccetera eccetera. Come al solito però, in Italia le cose si complicano perché nessuno interviene per un tempo tanto lungo da far sì che la situazione si stabilizzi in qualche maniera, e poi si cristallizzi.
Un paragone perfetto è quello delle licenze dei tassisti: non si possono vendere, eppure si vendono. Tanto che c’è gente che fa i prestiti per comprarsele, in una illegalità che ormai non si può più risolvere. Perché dura da talmente tanto che se si vieta di vendere una licenza di fatto si leva un valore economico enorme a chi, magari venticinque anni prima, l’ha comprata a caro prezzo sapendo che prima di andare in pensione l’avrebbe rivenduta e avrebbe recuperato il suo denaro.
Le false partite iva esistono ovunque: avvocati, architetti e anche nel giornalismo
Ma torniamo al punto. Le false partite iva. Esistono ovunque. Esistono in maniera massiccia tra gli avvocati (ricordo un libro di Federico Baccomo, in arte Duchesne, che raccontava la schiavitù del lavoro nel settore legale), esistono in maniera massiccia tra commercialisti, negli studi di ingegneria, e sì: ESISTONO IN MODO MASSICCIO ANCHE NEL SETTORE GIORNALISTICO. Lo metto tutto in maiuscolo così qualcuno non crede che parliamo sempre degli altri. Ovviamente, esiste nel mondo dell’architettura, questo uso schiavistico e smodato delle partite iva. True-News.it ne ha fatto una sua battaglia, perché se è vero che una cosa la fanno tutti, e se è vero che questa cosa è illegale, il fatto che la facciano tutti non la rende meno illegale. Poi c’è l’indecenza di questo caso, dove uno studio molto rinomato pare abbia chiesto i 600 euro del bonus statale alle sue partite Iva e poi abbia pure chiuso i bilanci con un dividendo da oltre 160mila euro. Roba da pazzi.
Serve una proposta per tornare nella legalità e tutelare i conti delle aziende
Tuttavia, il fatto che il metodo delle partite Iva sia ovunque, e sia ovunque illegale, non deve farci diventare ipocriti. Il problema è che il sistema o funziona così, oppure diventa antieconomico. Se obbligassimo tutti gli studi legali, tutti gli studi di architettura, di ingegneria, tutte le strutture editoriali, da domani mattina, ad assumere le partite iva avremmo tre step. Primo: l’immediato disequilibrio dei conti, poiché semplicemente il sistema non si terrebbe. Secondo: l’immediato crollo della produttività e della flessibilità necessaria a fare questi tipi di lavoro. Terzo: la chiusura di una percentuale talmente rilevante di studi da lasciare in piedi solo le realtà affermate, mettendo un “tappo” a tutti i giovani che vorrebbero emergere ma che non possono farlo se non rinunciando a diritti sindacalmente acquisiti.
E quindi?
Quindi non si può difendere un sistema del genere, e il caso dei 600 euro deve finire dritto dritto non solo in una qualche forma di approfondimento giudiziario (se è vero, qualcuno dovrà occuparsi di dire se è una pratica legale), ma anche e soprattutto deve sfociare in una riflessione pubblica, non pelosa, aperta, razionale. Una riflessione sulle false partite Iva non dicendo, acriticamente e anche utopisticamente: “aboliamole”. Ma dicendo: “Ecco che cosa possiamo fare per cambiare il sistema senza far morire il sistema“. Una sfida non da poco dalla quale sono esclusi per definizione benaltristi, schiavisti e pure sindacalisti radicali.