Perché leggere questo articolo? Romeo, esponente della Lega, fischiato al corteo per Navalny. Gli è stata rinfacciata la vicinanza tra Lega e Russia. Il dato politico è evidente. Ma i rubli da Mosca sono arrivati davvero?
Massimiliano Romeo è stato duramente contestato in Campidoglio durante la commemorazione di Aleksei Navalny a Roma in cui il capogruppo al Senato della Lega ha guidato la delegazione del Carroccio. “Vergogna”, hanno gridato alcuni contestatori, “parlaci di Savoini, dove sono i 49 milioni? Vattene a Mosca, leghista!”, le grida sentite verso Romeo. L’esponente della Lega è stato sotto attacco per le posizioni filo-russe assunte in passato da Matteo Salvini e più volte rinfacciate al vicepremier e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti negli ultimi anni. Specie dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
La Lega (non) russa?
I piani vanno tenuti però separati. La Lega ha tenuto una posizione nettamente pro-russa nell’ultimo decennio e Salvini ha visto in Vladimir Putin l’uomo forte per eccellenza. E, in altre parole, quel leader conservatore, padre del sovranismo contemporaneo, identitario e patriota capace di magnetizzare un’alterità rispetto alle classi dirigenti liberaldemocratiche dell’Occidente. Il combinato disposto tra l’ascesa di Donald Trump negli Usa e il consolidamento della posizione russa in Medio Oriente contro il terrorismo islamista ha alimentato negli anni della corsa al potere pre-2018 l’avvicinamento tra Lega e Putin. Che nella vulgata collettiva avrebbe avuto il culmine nel caso Metropol e nell’inchiesta de L’Espresso sul presunto tentativo del leghista Gianluca Savoini di ottenere fondi dalla Russia esplosa nel 2019.
Il Metropol, una polpetta avvelenata russa alla Lega?
La realtà, però, quattro anni dopo ha mostrato che non c’è, formalmente, elemento indiziario di alcun tipo che provi questo fatto. Al massimo si può dire di trattativa fallita. E negli addetti ai lavori più di un esponente ha parlato, riguardo al caso, di un lavoro di controintelligence. Il Metropol andrebbe visto non tanto come la scoperta di un asse russo-leghista ma, piuttosto, di un colpo dei servizi di Mosca al Carroccio. “Punito” per non aver saputo cambiare la traiettoria politica dell’Italia durante il governo Conte I dopo anni di proclami di Salvini, conditi da un viaggio a Mosca in occasione della finale dei Mondiali di calcio del 2018.
Mosca ai tempi contestava l’appiattimento leghista al Dipartimento di Stato Usa guidato dal falco antirusso Mike Pompeo. E in un certo senso con il caso Metropol mise la pietra tombale al leghismo di governo. Da allora Salvini è persona non grata dalle parti di Via Veneto, sede dell’ambasciata americana, con la quale i rapporti della Lega sono tenuti da Giancarlo Giorgetti. Di rubli nelle tasche del Carroccio, in fin dei conti, nemmeno l’ombra. Così come lo slogan dei 49 milioni richiama al caso Belsito, non certamente a una qualche mossa da rinfacciare su finanziamenti occulti al Carroccio.
Blinken esclude la Lega dai “pupazzi prezzolati” di Putin
Del resto anche Mario Draghi, nel discorso del settembre 2022 in cui denunciava la presenza di “pupazzi prezzolati” di Putin in Italia dopo un report dell’amministrazione Usa di Joe Biden che parlava dei finanziamenti russi in Europa dichiarò che nessuna formazione italiana aveva ottenuto tali fondi. Tony Blinken, segretario di Stato Usa, secondo Draghi gli avrebbe confermato “l’assenza di forze politiche italiane nella lista dei destinatari dei finanziamenti” del regime di Putin. Draghi aggiunse che “i vertici dei servizi segreti italiani hanno avuto contatto con i loro omologhi statunitensi in questa conversazione con l’intelligence americana questa ha confermato di non avere alcuna evidenza di finanziamenti a candidati o partiti politici” in corsa per le elezioni politiche di quel mese.
Il dato della Lega con la Russia è dunque totalmente politico. E ha a che fare con la volontà di Salvini di cavalcare aggressivamente una convergenza con Mosca che ha avuto la sua ascesa nella stagione in cui il sovranismo andava “di moda”. E che per la crassa tendenza alla semplificazione propria del segretario, Matteo Salvini, è stato facile identificare come un appiattimento. Ma nella pluridecennale storia dei rapporti russo-leghisti questo ha rappresentato solo l’apice, non una novità. E di arrivi di rubli in Italia non c’è prova o pistola fumante. E il dato resta puramente politico: il che in ogni caso non vuol dire che il tema dei rapporti leghisti con la Russia sia meno cogente.