E Mattarella bis sia: dopo sei giorni e otto votazioni, i partiti che compongono la maggioranza del governo Draghi si sono accordati per dare semaforo verde alla conferma al Colle del Capo dello Stato uscente, il cui mandato sarà garantito da una prorogatio paragonabile a quella di Giorgio Napolitano.
Mattarella bis, valanga di consensi già al quinto scrutinio
Dopo giorni di braccio di ferro, una girandola di candidature forti bruciate nel toto-nomi, bloccate dai veti incrociati (comprese quelle dei nomi caldi Pier Ferdinando Casini e Mario Draghi), tramontate anzitempo come quelle di Silvio Berlusconi e Andrea Riccardi o fulminate nel segreto dell’urna come quella di Maria Elisabetta Alberti Casellati, i partiti hanno optato per una scelta che la marea montante del voto dei peones stava già fortemente incentivando. Mattarella ha preso nel quinto e sesto scrutinio, disertati simmetricamente dal centrosinistra e dal centrodestra, un numero di voti complessivi pari a quelli ottenuti dalla Casellati: 382. Una valanga di consensi che ha aperto la strada al compromesso della mattinata di sabato.
Presidente della Repubblica, il Mattarella bis è un flop della politica
Alla conclusione di una delle più complesse tornate elettorali presidenziali della storia repubblicana, l’opzione Mattarella è quella con cui i partiti in campo scelgono di prorogare temporaneamente l’attuale situazione. Un “terzo tempo” la cui durata sarà condizionata dalle dinamiche politiche. “Ricordiamocelo, il presidente della Repubblica è eletto per sette anni, punto”, ci ricorda il professor Aldo Giannuli. “Qualsiasi scelta emergenziale che preveda riconferme subordinate a un accordo a tempo”, come successo per Napolitano, “è una sconfitta del sistema”. Certamente, nel quadro di un generale flop per il sistema politico, che per la seconda volta in nove anni fallisce nell’individuare un capo dello Stato di nuova elezione, ci sono umori ben diversi.
Quirinale, la Lega è la grande sconfitta
Partiamo dalle formazioni che compongono la coalizione di governo. La Lega è la grande sconfitta di questa tornata. Il partito si divideva tra chi puntava a promuovere l’opzione Draghi per il Quirinale, chi favoriva il muro contro muro su un nome di centrodestra e l’ala vicina a Matteo Salvini che ha provato a intestarsi il ruolo del kingmaker dopo il ritiro di Silvio Berlusconi. Se la prima strategia è stata bloccata dai veti partitici e la seconda dai franchi tiratori, Salvini è riuscito nel risultato di danneggiare i percorsi di entrambe senza riuscire nella terza.
Perde su tutta la linea Salvini, “fucilato” assieme alla Casellati nella quinta votazione, incapace di portare all’incasso un serio accordo su nomi di spessore, arrivato a bruciare senza abilità politica profili importanti (Marcello Pera, Carlo Nordio, Sabino Cassese, Giampiero Massolo, a suo modo anche Casini) con continui cambi di rotta che hanno disorientato i suoi stessi luogotenenti, financo obbligato a restare al governo con Mario Draghi. Il lungo “Papeete” iniziato con il colpo di sole dell’estate 2019 e la fine del governo Conte I, passato per i flop elettorali in Emilia-Romagna e Toscana, le problematiche delle candidature alle ultime amministrative e il frustrante dentro-fuori tra governo e piazza dell’era Draghi ha avuto un completamento nella partita del Colle. E ora la partita per Salvini si farà interna, mentre da fuori Fratelli d’Italia incalza a destra il Carroccio.
Presidente della Repubblica, per Letta ed il Pd è un pareggio
Per quanto riguarda il Partito Democratico possiamo parlare di un pareggio. Pareggio a reti inviolate per il partito nel suo complesso, che vede sostanzialmente prorogato un capo di Stato gradito e scelto con i suoi voti nel 2015, pareggio con bicchiere mezzo vuoto per il segretario Enrico Letta. Trovatosi nell’amaro compito di essere il primo leader del centro-sinistra dal 1999 ad oggi impossibilitato a dare le carte nella corsa al Colle l’ex premier ha provato dapprima a intestarsi la carta Draghi e, in seguito, ha dato plastica dimostrazione di non controllare i gruppi parlamentari, che hanno iniziato a promuovere in autonomia l’ipotesi Mattarella. Letta non perde nettamente, perché l’ipotesi Mattarella gli ha consentito di conservare leadership e segreteria, ma non ha molto di cui festeggiare: il controllo sul partito è tutto da conquistare, e ora la corsa alle elezioni sarà una traversata del deserto.
I Cinque Stelle ottengono il prolungamento del Governo. Di Maio trionfa su Conte
Discorso simile per il Movimento Cinque Stelle. I pentastellati possono rivendicare, perlomeno nella loro componente al Senato, di aver per primi sponsorizzato il bis di Mattarella e evitano le elezioni di breve termine. Per molti membri della compagine quello della XVIII Legislatura sarà l’ultimo (o unico) giro in Parlamento, dunque i pentastellati hanno come obiettivo strategico, molto pragmatico, il doppiare il D-Day del 24 settembre 2022, giorno di scatto dei 4 anni, 6 mesi e un giorno che garantiscono l’agognata indennità, e di sfruttare le ultime rendite di posizione da gruppo maggioritario in Parlamento.
In seno al gruppo stretto dei leader, trionfa a tutto campo Luigi Di Maio sul presidente Giuseppe Conte. Conte ha visto gradualmente sfarinate tutte le opzioni: il via libera all’idea di una donna al Colle, l’apertura di un canale ad hoc con la Lega, la ricerca di consensi sul nome di Elisabetta Belloni. Certo, Di Maio non ha portato in campo l’opzione Draghi, alla cui successione a Palazzo Chigi si è candidato, ma si è consolidato come uomo di sistema e ha dato un contributo alla corsa dei mattarelliani del Movimento. Non un risultato da poco per chi perorava l’impeachment nel maggio 2018.
Mattarella bis, una vittoria per Forza Italia e Italia Viva
Forza Italia, Italia Viva e i partiti minori, a loro modo, vincono. E lo fanno perché in primo luogo guadagnano tempo prima delle elezioni e in secondo luogo vedono la rielezione di Mattarella come il primo punto di un rimescolamento politico di carattere sistemico. Silvio Berlusconi, secondo quanto ricordato da Vittorio Sgarbi, aveva come prima opzione dopo il suo nome per il Colle il Mattarella-bis: il Cavaliere congela la situazione che vede Forza Italia decisiva al governo, allontana le elezioni e apre a un discorso su una legge elettorale proporzionale che può consentirgli di far sentire il peso dopo il 2023.
Stesso discorso per Italia Viva, al cui interno Matteo Renzi si mostra come il vero e proprio king-unmaker capace di far tramontare anzitempo ogni opzione di nome di parte proposto dai due gruppi maggioritari, restringendo col passare dei giorni le opzioni residue al sentiero stretto della terna Draghi-Casini-Mattarella bis. Opzioni congegnali all’ex premier che si conferma tattico valido anche in assenza di strategie. Azione e Più Europa guadagnano tempo per la loro fusione politica a freddo, mentre Roberto Speranza, ministro della Salute e leader di Articolo Uno, vede confermato lo schema Draghi-Mattarella che lo tutela politicamente.
Quirinale, un buon banco di prova per Alternativa
Sul fronte dell’opposizione, possiamo dire che il gruppo dei frondisti ex-M5S di Alternativa può guardare sorridendo all’esito del voto: scegliendo di contrapporre due simboli di bandiera di spessore come Paolo Maddalena e Nino Di Matteo, la formazione della sinistra “sovranista” anti-Draghi ha iniziato il percorso che può condurla alla strutturazione come partito autonomo e aggregatore vista la sostanziale coesione dei suffragi ottenuti dai due candidati, capaci spesso di andare oltre la quarantina di voti ex pentastellati.
Per Fratelli d’Italia e Meloni ora mesi di opposizione martellante
Discorso più complesso per Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni. Sul breve periodo, chiaramente, la deputata romana vede come una sconfitta il Mattarella-bis: in primo luogo perché conseguenza del flop della spallata di centro destra, in secondo luogo perché tra le opzioni di compromesso è l’unica che esclude categoricamente il ritorno al voto come esito . Guardando al continuum delle elezioni, però Fdi ne esce rinvigorito e possiamo parlare di un pareggio segnato da alcune vittorie tattiche: Giorgia Meloni si è dimostrata leader capace di fare politica, mostrando con la massa di consensi ottenuti da Guido Crosetto al terzo scrutinio di saper parlare al sistema e soprattutto di essere l’unica a controllare i propri gruppi parlamentari; inoltre, il secondo compromesso di Salvini col centrosinistra le dà mano libera per un’opposizione martellante a un governo Draghi che sarà indebolito dal clima pre-elettorale, potenziale fonte di una crescita di consensi.
Quirinale, Draghi strappa una “vittoria di tappa”
Draghi è vincitore tattico dell’ultima battaglia politica, potendo rivendicare la mediazione decisiva che ha aperto a Mattarella la strada del bis. Questo riscatta il premier da diversi errori compiuti da dicembre in avanti in una campagna personale per il Colle che non è mai veramente decollata alla prova dei fatti. Ma per trasformare questo successo in una vittoria strategica, Draghi dovrà cavalcare la tigre della campagna elettorale dei partiti che lo sostengono e puntare con decisione un’eventuale elezione in caso di dimissione anticipata di Mattarella. Per come si erano messe le cose nelle prime giornate del voto, che sembravano presagire uno scenario con Draghi fuori sia da Palazzo Chigi che dal Quirinale in tempi brevi, Draghi è riuscito però a conseguire un successo insperato “di tappa”. Per la maglia rosa della presidenza la partita, complice l’anagrafe favorevole, è ancora aperta.
Casini, cultura poitica inarrivabile
Pier Ferdinando Casini esce, e va riconosciuto, da grande uomo delle istituzioni da questa partita. Ha condizionato una sua partecipazione al voto solo a un accordo ampio e, mancando questo, ha speso tutte le sue energie per favorire l’accordo per Mattarella. La Democrazia Cristiana non esiste più da trent’anni, in questo Paese, ma la sua cultura di ingegno politico ed istituzionale rimane tuttora inarrivabile per gli esponenti della Seconda e della Terza Repubblica.
Mattarella bis: vittoria dei politici, non della politica
Una chiosa finale. Il sistema è in liquefazione perché l’elezione presidenziale ha fatto saltare le due principali coalizioni, ora più che mai simili a meri cartelli elettorali, ha travolto leadership e prospettive elettorali, ha istituzionalizzato il meccanismo della proroga del presidente in carica, ha segnato la definitiva incapacità della classe dirigente della seconda Repubblica di trovare un candidato figlio della sua era per il Colle. Lungi dall’essere semplici peones, i Grandi Elettori hanno trainato i segretari con la marea di voti per Mattarella. È la vittoria dei politici, non della politica. Dello spirito di sopravvivenza sull’analisi dei problemi del sistema. Mattarella è un gigante in un Paese da ricucire. In bocca al lupo a lui, questi anni saranno complicati e difficili. Per il sistema politico, ancora di più.