Matteo Renzi torna a occuparsi della questione intelligence in forma indiretta riaprendo, una volta di più, la polemica con Elisabetta Belloni. La direttrice del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, nominata sherpa del G7 da parte del governo Meloni, è stata “punzecchiata” per la seconda volta dall’ex premier dopo la querelle durante l’elezione del Presidente della Repubblica 2022.
A evidenziarlo Gabriele Carrer, giornalista di Formiche, che su X ha riportato le parole e i dubbi di Renzi sulla commistione tra intelligence e diplomazia che la nomina di Belloni comporterebbe.
Renzi e la querelle sulla Belloni
La querelle segue quella scatenata a gennaio 2022 da Renzi sulla (non) candidatura di Elisabetta Belloni, direttrice della struttura di Palazzo Chigi che coordina le agenzie di intelligence, al Quirinale. Ed è solo l’ultimo episodio di una lunga trama.
Nel gennaio 2022, con Mario Draghi al governo, Renzi ha criticato chi (Giuseppe Conte e Matteo Salvini in testa) ha pensato all’ambasciatrice ed ex Segretario Generale della Farnesina per il Colle non per le pur legittime criticità che questo passaggio avrebbe reso manifeste, prima fra tutte la totale estraneità del nome della Belloni e delle sue idee all’opinione pubblica, ma per una grana politica che ha rimesso i servizi nel centro del mirino in una maniera assai critica.
La Belloni non è il capo dei servizi segreti
Renzi nel 2022 ha accusato Salvini e Conte di avere una cultura politica “da Gormiti” per la sola ipotesi di proporre per il Colle la Belloni, da lui definita però “capo dei servizi segreti”.
Affermazione decisamente distante dalla realtà, dato che il Dis è un organismo di coordinamento che riferisce al Presidente del Consiglio come la Legge 124/2007 che norma i servizi segreti ben chiarifica.
Un errore da matita blu reiterata nel dibattito su Belloni evidenziato su X da Carrer. E cioè confondere la struttura di coordinamento (il Dis) con le agenzie operative (Aisi e Aise) su cui si articola l’intelligence italiana. Errore tanto più madornale se si pensa che Renzi è stato presidente del Consiglio e sa bene qual è la gerarchia del potere nell’intelligence nazionale.
Chi comanda i servizi segreti in Italia
Chi comanda davvero i servizi segreti in Italia? Il presidente del Consiglio. Al di sotto del quale si schiera l’intero assetto operativo del Sistema informativo per la sicurezza della Repubblica.
Carrer, a tal proposito, ha sottolineato un’altra questione. E cioè il fatto che Renzi ha paragonato un organo di coordinamento, il Dis, a un’agenzia operativa. Altra questione fuorviante. Il Dis è piuttosto paragonabile a un organo di cui su True-News si è recentemente parlato: l’Office of the Director of National Intelligence (Odni) guidato da Avril Haines.
Renzi dovrebbe ben conoscere i servizi
Del resto, il senatore fiorentino e leader di Italia Viva dovrebbe ben conoscere come funziona l’intelligence nazionale.
Matteo Renzi dal suo governo ad oggi ha mostrato una passione particolare per il mondo dell’intelligence. Da uomo di governo, da segretario del Partito Democratico e da “senatore semplice” Renzi ha più volte fatto parlare di sé per essersi occupato, in maniera spesso controversa, delle questioni legate ai servizi segreti.
007: gli scontri tra Renzi e Conte sulle nomine
Ad esempio tra il 2020 e il 2021 Renzi ha fatto trasmettere una visione decisamente sulfurea e problematica dei servizi, non giovando alla loro buona reputazione e soprattutto riportando, nuovamente in concorso di colpa, l’intelligence sotto i riflettori dopo un anno dalla polemica dura promossa dall’ex premier contro il suo successore, e rivale dichiarato, Giuseppe Conte nella fase finale del governo giallorosso.
Conte, nel suo consolidamento di potere, ha a sua volta promosso dei giochi di spie e un articolato processo di gestione delle nomine che hanno causato malumori; ai tempi, tra fine 2020 e inizio 2021 Renzi tuonò più volte contro Conte, soprattutto chiedendogli di nominare prima della fine del suo esecutivo un’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica cui dare in gestione le prerogative della gestione dell’intelligence.
Conte la scelse nella figura dell’ambasciatore Piero Benassi poco prima della caduta del suo governo, ma è bene sottolineare che solo l’allora presidente del Consiglio avrebbe potuto avvalersi di quella che è una sua esclusiva facoltà, diversamente da quanto gli attacchi di Renzi facevano intendere.
Intelligence, il biennio Minniti durante il governo Renzi
E dire che il Renzi uomo di governo, tra il 2014 e il 2016, si era mostrato, almeno in una prima fase, decisamente più accorto.
Va sicuramente annoverata tra le scelte felici del suo esecutivo la concessione della nomina ad Autorità delegata all’esponente del PD Marco Minniti, già titolare nel precedente governo Letta e attento conoscitore dell’intelligence.
Minniti, in sinergia con l’allora direttore del Dis Giampiero Massolo, fornì all’intelligence una leadership in acque tranquille per circa un biennio, garantendo basso profilo e focalizzazione operative alle agenzie (AISI e AISE) focalizzate sul contrasto al terrorismo, sulla vigilanza sulla Libia, sul sostegno alla politica estera nel Mediterraneo e sulla lotta alla criminalità organizzata.
L’intelligence nell’era Renzi
Ad aprile 2014 la cordata Renzi-Minniti-Massolo, in particolare, nominò alla guida dell’agenzia esterna, l’Aise, Alberto Manenti, alto funzionario che ha svolto un ruolo decisivo nel presidio del sistema-Paese nell’infuocato teatro libico.
Renzi, troppo rumore attorno ai servizi
Nel 2016 le prime crepe, col tentativo di Renzi di nominare l’amico e compagno di scalata alla politica nazionale Marco Carrai, imprenditore nel campo della cybersecurity, a capo di una nuova agenzia ad hoc che causò una rivolta generalizzata: Forza Italia, Sinistra Ecologia e Libertà e Movimento Cinque Stelle fecero le barricate in Parlamento, Sergio Mattarella utilizzò il suo potere di persuasione per sconsigliare la mossa, i membri dei servizi si spaccarono, l’intelligence fu riportata alla ribalta come luogo di convergenza tra poteri e interessi e non come deciso presidio dell’interesse nazionale nella ribalta mediatica.
Da allora in avanti i giochi di spie di Renzi nell’intelligence hanno teso a mostrare l’idea di apparati contrastanti, divisi e contesi piuttosto che un’immagine unitaria. Il rischio, in quest’ottica, è di lederne l’immagine e di ridurne le prospettive operative. Ai servizi serve discrezione per poter operare in serenità nel rispetto delle chiare indicazioni democratiche della normativa, non di essere tirati alla ribalta senza motivo. La querelle su Belloni sherpa del G7 rientra nell’ottica delle uscite imprecise che rischiano di far passare un’idea sproporzionata di un’intelligence pervasiva a ogni livello. Quello che in realtà non è nella realtà quotidiana. E Renzi dovrebbe saperlo bene.
(Versione aggiornata di un articolo pubblicato il 29 gennaio 2022)