Biagio Mazzotta è nel mirino della destra di governo che ha già individuato, more solito, il capro espiatorio della politica nei tecnici. Il Ragioniere Generale dello Stato, tanto difeso a inizio governo da Giancarlo Giorgetti, titolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ai tempi in cui il nemico era diventato Alessandro Rivera, ex direttore generale del Mef, è oggi nel mirino come presunto “uomo del deficit”. Ovvero unico colpevole della “bolla” del Superbonus, lievitata a un conto (presunto, lo ricordiamo!) di oltre 170 miliardi di euro. Il Ragioniere Generale dello Stato è ritenuto solo responsabile per l’omessa vigilanza sui conti del Superbonus e, dunque, per il volo del deficit del 2023.
La narrazione della destra: colpa di Mazzotta
La narrazione della destra è chiara: sulla Ragioneria Generale dello Stato cadrebbero le responsabilità per aver visto il deficit lievitare dal 5,3% del Pil previsto nella Nadef 2023 al 7,4% recentemente stimato sulla scia della mala stima della misura voluta dal governo Conte I, modificata da Mario Draghi, chiusa da Giorgia Meloni. Non vogliamo assolvere Mazzotta: su queste colonne abbiamo ricordato che la Ragioneria Generale è parsa troppo lenta nel calcolare gli effetti del Superbonus. Ma ci teniamo a sottolineare due punti fondamentali: in primo luogo, le responsabilità della politica. In secondo luogo, la presenza di altri elementi, ineludibili, nel calcolare il deficit del Paese.
Partiamo dalle responsabilità della politica. Il governo Conte II ha, in piena pandemia, promosso la misura come temporanea, tra il 2020 e il 2021. Paradossalmente, proprio la caduta di Conte e l’ascesa al governo di Mario Draghi hanno causato l’accelerazione del provvedimento: prima del ravvedimento a fine governo Draghi era pronto a prorogare al 2023 la misura e né Roberto Gualtieri né Daniele Franco, titolari del Mef allora, hanno messo pressione su Mazzotta perché vigilasse.
Non solo Mazzotta: è il Mef che doveva vigilare sul deficit da Superbonus
E, del resto, non era la Ragioneria Generale, da sola, a fare i calcoli: ” L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile-ENEA con cadenza mensile, pubblica i dati nazionali e regionali, relativi all’utilizzo del superbonus”, scriveva nel 2023 un rapporto pubblicato dalla Camera dei Deputati.
Sul Superbonus, per legge, “le relazioni tecniche sull’impatto delle misure, per regolamento, vengono dal Dipartimento delle Finanze del Mef, sulla base di dati dell’Agenzia delle Entrate e dell’agenzia per l’energia Enea”, ha ricordato Federico Fubini sul Corriere della Sera. Prima di sparare sul pianista (Mazzotta), per citare l’efficace metafora di Utilitalia, forse sarebbe meglio guardare come ha gestito la faccenda la struttura politica del Mef, che ha gestito il saloon. Avendo, tra gli altri, due partiti dell’attuale maggioranza (Lega e Forza Italia) al governo nel 2021-2022 con Draghi.
Superbonus e deficit, le note dell’Upb
Le note dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio sul Superbonus, poi, aiutano sia a capire le responsabilità politiche riguardo come la norma è stata scritta che i reali effetti contabili, che vanno depurati dell’effetto fiscale e contributivo.
In sostanza, ricorda l’Upb, “le caratteristiche uniche del Superbonus hanno reso complessa la stima degli effetti finanziari sin dalla sua introduzione; l’ampliamento degli obiettivi e le ripetute proroghe hanno generato un aumento della spesa ben oltre le aspettative iniziali”. Qui Mazzotta può essere incolpato, al massimo, di scarsa solerzia. Anche per il fatto che la sospensione del Patto di Stabilità europeo, dal 2020 al 2023, ha ammorbidito la funzione di “guardiana” dei conti di cui la Ragioneria era stata di fatto incaricata dal Trattato di Maastricht.
Il Superbonus, ricorda l’Upb, “inciderà, a livello di debito, soprattutto sul triennio 2024-26: a un impatto in media annua pari allo 0,5 per cento del PIL nel triennio 2021-23, seguirà un onere più elevato pari a circa l’1,8 per cento in quello successivo”. A questi dati bisogna aggiungere il lascito, profondo, della stagione dei bonus. Vera determinante, nel contesto generale, della crisi del debito post-pandemia. L’Istat ha rilevato un aumento del deficit che in parte è spiegabile con un disavanzo delle partite correnti, ovvero con la differenza tra entrate e uscite dello Stato, pari a -1,6%.
Il nodo Patto di Stabilità
Ma più del Superbonus costa, come ha ricordato una ricerca di Confindustria, la spesa per interessi sul debito accumulato: “la spesa per interessi è stimata a 96 miliardi nel 2023 e a quasi 98 miliardi nel 2024, pari al 4,8% e 4,7% del PIL” rispettivamente.
Quasi il triplo dell’impatto del Superbonus. Il cui debito si paga anche sotto forma di spesa per il servizio alle altre misure di incentivo tramite spesa pubblica promosse negli anni: dal bonus 80 euro a quello facciate, da quello antisismico ai vari bonus per bici, monopattini, colonnine di ricarica la spesa, Superbonus escluso, è stata di 88 miliardi di euro solo nel triennio dal 2020 al 2022. Un totale espandibile ragionevolmente di una trentina di miliardi nel 2023. Inflazione e interessi hanno fatto il resto, aprendo agli indispensabili bonus energetici tra 2022 e il 2023.
E anche il governo attuale sa benissimo che un solo Mazzotta non poteva creare tutta questa entropia. Ma la ricerca del colpevole è più facile della proposta di soluzioni. Anche perché a fine anno, alla prova del cimento, Giorgetti non ha mostrato capacità d’incidere laddove contava davvero: nella partita per il nuovo Patto di Stabilità. Che ha “commissariato” il deficit. Generando un problema per il fatto che l’Italia si troverà a dover rispondere del debito pandemico e dei suoi relativi interessi. E dunque interrogando la politica, tutta intera, su perché si sia creata una voragine senza spendere risorse nell’interesse strategico del Paese.