Ciliegi e cemento
Era il 26 aprile 2021 e l’Assessore alla Casa e Piano Quartieri di Milano, Pierfrancesco Maran (all’epoca all’Urbanistica), ci faceva sapere che in Piazza Piola c’erano 21 nuovi ciliegi. Alberi che, nella cultura giapponese, sono il simbolo della pace, della pazienza, della rinascita, forse. Fino a quel momento la rotonda era solo un’area cani. E diventava, quel 26 aprile, i giardini Teresa Pomodoro.
Il riferimento alla drammaturga dovrebbe evocare l’idea di dialogo e comunicazione, come anche la scultura. Veniva infatti aggiunto un monumento di cinque gradoni cilindrici di diverse altezze su cui comparivano delle installazioni di un artista giapponese di nome Kengiro Azuma, una delle quali chiamata proprio Colloquio. Restando sul tema, se Oscar Wilde aveva ragione quando diceva che un’opera d’arte è tale solo quando genera pareri discordanti, potremmo dire che questa piazza, in qualche modo, appartiene alla categoria. C’è stato infatti chi l’ha definita “il cuore di cemento di Sala”, polemizzando sul fatto che la metropoli che si vuole più green non ha da coprire i suoi parchi con colate di asfalto. E, in effetti, può essere difficile dare completamente torto a chi lo sostiene. Intorno alla scultura cementizia, però, i famosi 21 ciliegi a riequilibrare l’equazione laterizio-natura. E qui dobbiamo dare credito all’assessore: in primavera, come si evince dalle foto pubblicate sul suo profilo twitter, i fiori rosa hanno il loro effetto.
Passata la primavera
Oggi, però, in una fresca giornata milanese di fine ottobre, naturalmente nuvolosa, il color ciliegia ha lasciato spazio a un giallino sfumato e il grigiastro livido delle sculture cozza, davvero, con il verde quasi innaturale da cui svetta. Non mancano altri commenti, come quello di ChenesaràdCittàStudi che, sotto il post di Maran, scrive: “Un giardino cosiddetto “zen” ma molto poco “green”. Una colata di cemento fatta col benestare del @Municipio3MI”. Certo il nome non fa presagire l’elargizione di una bontà gratuita, ma ChenesaràdCittàStudi non ha del tutto torto.
Maran peraltro pare quasi voler tirare la zappa sui propri piedi, prima che sull’adorato parco dei frequentatori di Piazza Piola. Intorno al cemento, altro cemento
Sono state disposte nella piazza delle panchine di cemento anzi, ci perdoni Maran, di “granito rosa”. Esteticamente nemmeno male, una sorta di galbanino tagliato a metà adagiato su un’altra lastra di, ça va sans dire, proviamo a indovinare, cemento. Granito, granito giusto. Forse però il formaggio delle panchine è da gustare insieme alle uova, anch’esse tagliate a metà, che svettano da due dei gradoni della scultura.
Per la goccia al centro non c’è molto da dire. Non vogliamo fare come in quello spettacolo di Aldo, Giovanni e Giacomo dove gli attori rovinano la scultura del famoso artista sedendovisi sopra o scambiano un estintore per un’opera d’arte. Forse anche Azuma non è così facile da capire, per noi.
Rinascita in bronzo
Dobbiamo ammettere, anche provando a dargli una chance, che le panchine non sono comode e non sono belle. “Canis lupus” il 22 aprile sentenzia sulla bacheca di Maran: “Ma queste panchine nella piazza? Sembrano un esempio di architettura ostile, per non consentire soste prolungate. Non le pare vadano contro i principi e le metodologie con cui state lavorando?”. Signor/a Canis Lupus, lei ha ragione, tanto più che dev’essere un tipo che se ne intende di natura e aree cani.
Insomma tra il grigio e le sculture di Azuma che dovrebbero rappresentare la leggerezza dell’acqua (emergente dal contrasto con il materiale usato) e dei rospi di bronzo, l’idea di rinascita forse fa un po’ fatica a venire a galla.
L’impressione è di trovarsi di fronte a una sorta di commistione tra falso e reale, naturale e artificiale non ben amalgamati. Viene in mente che un giorno un ciliegio possa svegliarsi e rivolgere una canzone d’amore irrealistica a una delle rane di bronzo. Come in quella dei Pinguini Tattici Nucleari dove Jack il Melo Drammatico si innamora di una pianta ornamentale.
E mentre lei resta lì, uguale, impassibile, lui subisce il peso delle stagioni e le canta che “sarebbe poetico poter dire che sei morta d’inverno, che il gelo ti ha sopraffatta, che questa canzone sia un’elegia. Che nonostante tutto io comunque ti ami in eterno. Ma non credi sarebbe solo un’enorme bugia? (…) Ho scoperto che tu non esisti. Tu sei fatta di plastica, sei una pianta ornamentale”, sei una rana di bronzo, “senza vita e sentimenti, sei di bella presenza”, più o meno, “e stupido io che a te che sei un pezzo di plastica”, di bronzo, “ho dedicato la mia intera esistenza”.
L’ultima speranza
Per concludere le idee di rinascita che non ce l’hanno fatta, c’è anche la storia di un altro alberello, nato dal cemento, in via Canonica. Ci ha fatto venire subito in mente quella frase di George Carlin. “Mi piace quando un fiore o un piccolo ciuffo di erba crescono attraverso una fessura nel cemento. E’ così dannatamente eroico”. Siamo andati a cercare il piccolo eroe milanese, sul suo marciapiede. Nessun prode pervenuto. Non abbiamo fatto a tempo ad assistere al miracolo di cui si è tanto parlato. Anche lui, come il rosa del ciliegio, ha preferito non presentarsi all’appello. La linea del marciapiede continua dritta e nessun germoglio verde le impedisce la via. Il grigio ha vinto ancora.
Da Piazza Piola e via Canonica è tutto. Aspettiamo la prossima fioritura. Sullo sfondo, tra le foglie gialle e il grigio, cioè rosa, delle panchine risuonano le parole di Calvino in un’opera di cui forse, qui, è troppo forte evocare il nome: “Ora più nulla, non vedeva che un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri, spigoli e lati di case, di qua e di là, tetti, finestre, muri ciechi per servitù contigue con solo i finestrini smerigliati dei gabinetti uno sopra l’altro”.
foto di Gaia Manelli e Giada d’Elia