Dare il via libera a sbloccare i 10 miliardi di euro di fondi all’Ungheria bloccati nel quadro dei finanziamenti comunitari congelati per le politiche di Viktor Orban sullo Stato di diritto in cambio del via libera di Budapest all’accelerazione dell’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea. Questo il do ut des che la Commissione Europea starebbe studiando per lisciare il pelo al premier ungherese e rabbonirlo sul tema dell’avvicinamento di Kiev.
La concessione all’Ungheria
I dieci miliardi di euro non verranno dati all’Ungheria in una solo colpo. Saranno erogati in tranches subordinate alla presentazione di progetti ungheresi sul fondo di coesione e Next Generation Eu. L’obiettivo di Bruxelles e di Ursula von der Leyen è quello di rompere l’ostruzionismo di Budapest. L’Ungheria di Orban da settimane sta intensificando l’ostruzionismo nella trattativa per l’apertura dei negoziati di adesione al gruppo dei Ventisette dell’Ucraina. Oltre a ciò, il veto ungherese contribuisce a bloccare un fondo speciale di 50 miliardi di euro per finanziare Kiev e la sua economia e, ovviamente, nuovi aiuti militari.
Per il Partito Popolare Europeo, il Partito Socialista Europeo e Renew Europe finanziare senza contropartite l’Ungheria alla vigilia del Consiglio Europeo è un errore strategico. Dà l’idea di mercanteggiare il sostegno dell’Ungheria e di far percepire una priorità dell’Unione, la difesa dello Stato di diritto, sacrificabile in funzione di un’altra, l’appoggio all’Ucraina. “Sembra non consono – ha dichiarato duramente Pedro Marques, eurodeputato del Partito Socialista che governa il Portogallo – dare dieci miliardi di euro a Orbán prima del Consiglio, non sappiamo nemmeno se si tratta di una sorta di negoziato per una posizione riguardo all’Ucraina”.
Quartapelle (Pd): “Non si può barattare l’esigenza di sicurezza”
Voci critiche sono emerse anche in Italia. True-News ne ha raccolte due nel Parlamento nazionale. “Orbán non è nuovo ai ricatti”, dice ai nostri microfoni l’onorevole del Partito Democratico Lia Quartapelle, vicepresidente della Commissione Esteri di Montecitorio. “Su questo punto, cioè sull’avvio del negoziato per Kyiv, tutti gli altri paesi dovrebbero essere molto fermi”, aggiunge Quartapelle. Per la deputata milanese “non si può barattare l’esigenza di sicurezza del continente con convenienze economiche di singoli stati. Ci aspettiamo proattività su questo dalla premier che negli anni ha vantato un rapporto privilegiato con Orban”.
Giorgia Meloni e Orban, sull’Ucraina, hanno posizioni antitetiche, così come molti dossier come la gestione europea delle migrazioni. E in vista delle Europee la mina Orban, come su queste colonne scrivevamo alla nascita del governo, può rappresentare una pietra d’inciampo della politica estera italiana.
Pastorella (Azione): “Il ricatto di Orban è inaccettabile”
Critica della decisione europea anche Giulia Pastorella, deputata di Azione. “Il ricatto di Orban è inaccettabile e la Commissione non dovrebbe piegarsi alle sue richieste”, dice Pastorella a True-News, aggiungendo: Non intendo dire che la causa ucraina non sia importante, anzi. Ma cedere alle pressioni di Orban significa perdere credibilità e ammettere che certi valori hanno un prezzo”.
Le necessità di mostrarsi fermi di fronte alla Russia di Vladimir Putin passano in sostanza per l’accomodamento con il suo principale alleato europeo. Un paradosso sfidante per l’Ue: “È un tema difficile chiaramente, perché sul piatto c’è il futuro dell’Ucraina, un Paese che anela alla sua libertà e che abbiamo il dovere di aiutare”, dice l’esponente del partito di Carlo Calenda.
Per Pastorella è inevitabile che “se non sarà possibile mettere in campo fondi comunitari, dovrebbero essere i singoli Stati ad attivarsi. È vergognoso, infatti, che gli Stati dell’Unione abbiano fornito meno supporto militare all’Ucraina negli ultimi 2 mesi di quanto la Corea del Nord abbia fatto per la Russia. Parliamo di Paesi che insieme hanno 500 volte il Pil di Pyongyang”. Insomma, sui piani europei per sostenere l’Ucraina sicuramente Orban mette i bastoni tra le ruote. Ma identificarlo come l’unico colpevole in una fase di disimpegno generalizzato rischia di sottovalutare le responsabilità di molti Paesi. E dell’Europa in generale.