“Continuità” e “velocità”: Le due parole chiave del discorso tenuto il 2 luglio da Narendra Modi al Lok Sabha, il Parlamento indiano, dopo la riconferma elettorale per il terzo mandato consecutivo sono un manifesto programmatico. “Continuità” perché i punti cardine della sua politica rimarranno immutati: crescita economica e nazionalismo. “Velocità” perché l’obiettivo è quello di “lavorare con il triplo della velocità, mettere il triplo degli sforzi e garantire il triplo dei risultati”, tra cui l’ambizioso “Viksit Bharat 2047” che vorrebbe rendere l’India un paese sviluppato entro il 2047.
Le sfide del Modi 3.0
Il Presidente ha parlato di infrastrutture, come ci spiega il nostro Federico Giuliani, di case per i più poveri, di empowerment femminile, di era green e chiaramente di nation first, cioè di “nazione prima di tutto”. Sviluppo economico e nazionalismo dunque. Apparentemente nulla di nuovo. Sembrerebbe tutto in linea con l’idea di “continuità”, o forse no. Nel Modi 3.0 vi è infatti una grande discontinuità che tende a passare in secondo piano nella narrazione delle parlamentari indiane, anzi, due grandi discontinuità.
Innanzitutto Modi non ha vinto da solo, ma all’interno di una coalizione. I 272 seggi raggiunti dal BJP, 60 in meno rispetto alle parlamentari del 2019, sono stati ottenuti grazie al supporto di due partiti regionali con cui il premier dovrà inevitabilmente scendere a patti nei prossimi cinque anni.
Grande sfida per il primo ministro indiano che nell’ultimo decennio si è abituato a confrontarsi solamente con se stesso per prendere decisioni. Un esempio calzante è la demonetizzazione annunciata da Modi l’8 novembre 2016 quattro ore prima che questa entrasse in vigore. La decisione che gettò la nazione nel caos fu criticata non solo per la sua sostanza ma anche e soprattutto perché dietro la sua approvazione non ci fu consultazione. Un segretario di un dipartimento chiave, che ha chiesto a “The Wire” l’anonimato, ha raccontato che quando ci fu la riunione di gabinetto “il piano era già pronto” e che i partecipanti burocrati “erano stati chiamati solo per venir informati”.
Le sfide dell’India
La seconda grande discontinuità riguarda invece l’opposizione che negli ultimi dieci anni sembrava essere stata eclissata dalla personalità di Modi. Un’opposizione che ritorna a farsi sentire, strutturata e vocale come mai prima d’ora. La coalizione INDIA, Indian National Development Inclusive Alliance, attraverso un’azione di grande coordinazione e compromesso tra i 26 partiti che la compongono, è persino riuscita a strappare la maggioranza nello stato più popoloso dell’India, l’Uttar Pradesh, con un BJP perdente anche nel seggio di Faizabat.
Un seggio particolarmente simbolico dal momento che qui a gennaio il Primo Ministro aveva inaugurato il tempio di Ram Mandir, il coronamento della promessa nazionalista e ultra induista che nell’ultimo decennio è stata una costante.Queste elezioni parlamentari si sono rivelate una bella doccia fredda per il “lupo solitario” Modi che dovrà imparare a condividere il potere e a scendere a compromessi. “Un nuovo ruolo per lui a cui dovrà adeguarsi e adattarsi” dice il commentatore politico Arati Jerath. Da quando è salito al potere il già chief minister del Bujarat ha mostrato di non temere le sfide, chissà se riuscirà a vincere anche questa.