Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Recentemente è stata denunciata da Gay.it la virata omofoba che la politica dei Paesi Bassi ha messo in atto. Si parla di licenziamenti di insegnanti queer e limitazioni per le adozioni da parte delle famiglie omogenitoriali. Nonostante i Paesi Bassi siano tra i più avanzati in Europa sul fronte dei diritti, la situazione scolastica è molto simile a quella italiana.
La virata omofoba del governo olandese
I Paesi Bassi sono al 14esimo posto in Europa per la tutela dei diritti LGBTQ+, secondo la Rainbow Map di ILGA. A luglio 2024 si è insediato il nuovo governo, guidato dal primo ministro Dick Schoof e composto in larga parte da esponenti di partiti di destra ed estrema destra. La polarizzazione dell’opinione pubblica ha subito quindi un’accelerazione su alcune questioni relative ai diritti civili. Tra esse: la presenza di insegnanti queer nelle scuole.
Gay.it segnala infatti che “il Consiglio di Stato olandese ha rilasciato un parere controverso che concede alle scuole cristiane il diritto di rifiutarsi di assumere insegnanti dichiaratamente omosessuali“, in quanto “le scuole religiose potranno stabilire delle condizioni di adesione ai propri principi dottrinali come requisito per l’assunzione del personale docente”. La situazione italiana non è troppo lontana da ciò che si sta delineando nei Paesi Bassi.
Essere un’insegnante LGBTQ+ in Italia
Nella scuola pubblica i licenziamenti non possono – formalmente – avere come motivazione l’orientamento sessuale dell’insegnante. Chiaramente questo non tutela dalle forme di micro e macroaggressione che possono avvenire a scuola.
La situazione delle scuole scuole cattoliche, che sono inquadrate come paritarie dal 2000, è però diversa. Nel 2022 la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato il documento L’identità della scuola cattolica che tuttora individua alcune linee guida per le scuole paritarie in relazione a credo religioso, orientamento sessuale e altri aspetti della vita privata. Si parla proprio di “verifica dell’identità cattolica” per i membri della comunità scolastica e, in particolare, per il corpo docente, affermando che “tutti hanno l’obbligo di riconoscere, rispettare e testimoniare l’identità cattolica della scuola, esposta ufficialmente nel progetto formativo”. Questo passa – secondo il documento – anche attraverso la propria situazione relazionale.
Questi provvedimenti si basano su una precisa interpretazione dell’identità cattolica. Secondo il documento essa non può essere attribuita solo a specifici ambiti e persone e non va associata a un codice morale e spirituale chiuso, ma quando si parla del comportamento dei docenti, ci si muove in una direzione inversa: individuando chi è cattolico e chi no sulla base di principi rigidi e discutibili. Chi e che cosa è cattolico viene stabilito dall’alto, senza lasciare spazio alle scelte individuali di definire e gestire il rapporto tra le diverse identità che caratterizzano un individuo, fede inclusa.
Ogni istituto paritario di stampo religioso, quindi, può chiedere al corpo docente di attenersi “alle condizioni della scuola cattolica e della sua appartenenza alla comunità ecclesiale”. In caso contrario, la scuola dovrà “prendere le misure appropriate” e “può essere disposta anche la dimissione“. Per fare ciò gli istituti redigono un documento con i principi comportamentali richiesti al personale, rafforzati “giuridicamente tramite contratti di lavoro o altre dichiarazioni contrattuali dei soggetti coinvolti con chiaro valore legale“.
Il testo che regola questa procedura – il già citato L’identità della scuola cattolica – cerca in partenza di difendersi dall’accusa di essere discriminatorio. Si legge infatti: “Si prende atto che in tanti Paesi la legge civile esclude una “discriminazione” [tra virgolette nell’originale] a causa della religione, dell’orientamento sessuale nonché di altri aspetti della vita privata”, ma viene ricordata l’autonomia delle scuole cattoliche e, quindi, la possibilità effettiva di sanzionare, licenziare o semplicemente non rinnovare il contratto a chi non rispetta il codice morale previsto dall’istituto.
Questo controllo sulla vita privata delle e dei docenti entra anche nella scuola pubblica quando la materia è IRC (insegnamento della religione cattolica). Le e gli insegnanti di religione, infatti, devono compilare un’autodichiarazione per entrare in servizio così da garantire, come si legge nell’articolo 804 del Codice di Diritto Canonico, “la necessaria coerenza con i valori da proporre nell’insegnamento della religione cattolica”.
Tra i comportamenti malvisti si parla di “una pubblica e nota situazione di legame con un’altra persona che contrasta con la morale cattolica“. Sono quindi comprese la convivenza, il matrimonio civile (e l’unione civile) e addirittura il matrimonio dopo una separazione o un divorzio in mancanza dell’annullamento dell’unione precedente.
Un precedente sventato: la battaglia di Harvey Milk
Al quadro italiano e olandese si aggiunge il fatto che nel Regno Unito una recente inchiesta mostri una censura sempre più forte verso i libri LGBTQ+ nelle scuole. Negli USA la legge Don’t Say Gay approvata in Florida nel 2022 sta mettendo a dura prova la possibilità di discutere di diritti in classe. Eppure non è la prima volta nella storia contemporanea che la comunità LGBTQ+ a scuola viene presa di mira.
Già negli anni ’70, un decennio dopo i moti di Stonewall, la presenza di persone queer a scuola era un tema caldo. Nel 1978 Harvey Milk, consigliere comunale di San Francisco e primo politico apertamente omosessuale eletto al mondo, giocò un ruolo cruciale nella lotta contro l’iniziativa elettorale Proposition 6, conosciuta anche come Briggs Initiative, che mirava a licenziare gli insegnanti gay e chiunque li sostenesse nelle scuole pubbliche della California. Milk elaborò una campagna contro questa proposta, sostenendo che fosse ingiusta e discriminatoria, e si confrontò con il legislatore John Briggs in numerosi dibattiti pubblici anche nei quartieri e nelle città più conservatrici. Grazie ai suoi sforzi e a quelli della sua squadra, la proposta fu respinta dagli elettori californiani, impedendo il fiorire di iniziative simili negli altri Stati USA.
Nel novembre dello stesso anno Milk e il sindaco George Moscone vennero uccisi nella San Francisco City Hall da Dan White, ex consigliere comunale. White, incarcerato per omicidio colposo, fu condannato a pochi anni di detenzione, scatenando le rivolte nei quartieri di Civic Center e Castro conosciute come White Night Riots, le più grandi proteste LGBTQ+ svoltesi a San Francisco.
Il diritto al lavoro per il personale docente LGBTQ+ è stato pagato con la vita da Milk e vent’anni dopo in Italia la professionalità dei docente queer continuava a essere messa in discussione. Nel 1998 durante un appuntamento di Maurizio Costanzo Show Gianfranco Fini, leader di Alleanza Nazionale, dichiarò: “Un maestro elementare dichiaratamente omosessuale non può fare il maestro”. Le e gli insegnanti queer d’Italia si mossero e si riunirono, fondando Aletheia, il Coordinamento nazionale degli insegnanti omosessuali. Oggi, per promuovere e difendere il lavoro delle e dei docenti queer, spicca in Italia la Rete Mariasilvia Spolato, formata da insegnanti, educatori ed educatrici queer.