L’elezione del Presidente della Repubblica è diventata uno zoo. Non basta il fatto che per indole tutti i politici siano “pavoni”; o che le scelte che prendono li trasformino in “polli” o “galli”; ai soliti gufi e falchi, oche e anatre, struzzi e avvoltoi che popolano il Parlamento, nel circo del Quirinale si sono aggiunti scoiattoli e conigli. Dai tempi di Aristotele – che nel I libro del Politica definisce l’uomo animale politico (politikòn zôon) – si è sviluppato un bestiario che, passando per Macchiavelli – “L’uomo deve essere leone e volpe” – arriva alle mucche, ai gufi ed agli scoiattoli dei giorni nostri.
La storia della politica italiana è una fattoria di animali
Esistono atteggiamenti o posizioni rispetto alla prassi politica che trasfigurano i politici e le fazioni in animali totem. Con buona pace di George Orwell, la storia della politica italiana è una fattoria di animali: lupi, agnelli, cani, cavalli, topi e ratti, pecore, api e maiali. Persino i canguri: in una nota del 11 novembre 1943, Mussolini, da poco liberato dalla prigionia sul Gran Sasso e posto dai tedeschi a capo della Repubblica di Salò, ribattezzava “canguri giganti” gli intellettuali e i giornalisti che, dopo aver goduto di benefici e sovvenzioni dal regime, alla caduta del duce avevano rinnegato il fascismo.
Poca fauna nei loghi dei partiti italiani
Diversamente dai partiti americani – il partito democratico ha l’asinello, quello repubblicano l’elefante – le formazioni nostrane non ricorrono ad animali nel proprio simbolo: gli unici casi ad oggi sono la tartaruga di CasaPound e la rondine di Forza Nuova; in passato c’è stato l’asinello dell’Udeur e la Dc che era soprannominata – mai in maniera ufficiale – la balena bianca. Ci sarà un motivo se l’unico movimento politico che si ispira nel nome a un animale sono le sardine?
I principali partiti annoverano solo oggetti (lo scudo, la falce e il martello), astri (il sol dell’avvenire, le cinque stelle), figure storiche o antropomorfiche (Alberto da Giussano leghista e Garibaldi del Fronte popolare). Negli stemmi ufficiali c’è spazio solo per il mondo vegetale: dell’ulivo, il garofano socialista, l’edera repubblicana e la rosa nel pugno dei radicali. È nel quotidiano dell’agone politico che i deputati e i capipopolo mostrano il loro lato animalesco.
Nel racconto della politica abbondano gli animali
Nei momenti topici dell’agenda parlamentare il bestiario emerge con forza. Ce ne si accorge in questi giorni di elezione presidenziale, all’insegna dell’ornitologia. Il Quirinale potrebbe essere deciso dai falchi che sostengono una linea dura e intransigente per la totale chiusura agli altri schieramenti; o dalle colombe che propugnano una politica conciliante, basata sulla ricerca del compromesso. Il bollettino quotidiano dei candidati fatti preda dei franchi tiratori ha scatenato i gufi – che non condividono l’ottimismo delle proposte dei leader di partito o addirittura si augurano che le cose volgano al peggio – e corvi – sciacalli pronti a pasteggiare sul cadavere del “bruciato” per trarne giovamento politico.
Quirinale, l’operazione scoiattolo e i dubbi degli etologi
A dare l’avvio alle grandi manovre per il Quirinale è stata la famigerata “operazione scoiattolo”. Il tentativo di Berlusconi di stanare alcuni Cinque stelle disposti a sostenere la propria candidatura al Quirinale. Un’iniziativa intentata già quattro anni fa, quando lo scouting tra i grillini del Cavaliere avrebbe dovuto allargare le fila dei senatori forzisti per dare la spallata a Conte prima delle Europee del 2019. Molti etologi ed esperti di linguistica da allora si arrovellano sulla denominazione, che nell’ipotesi più accreditata paragonerebbe gli esponenti del Movimento a delle ghiande, e che per estensione vorrebbe i forzisti come dei roditori.
Il serraglio del caimano Berlusconi: trote, pitonesse e “porcelli”
Lasciamo perdere i tempi del “cinghialone” Craxi e della “vecchia volpe” Andreotti. In tempi più recenti, nel bestiario della Seconda Repubblica Berlusconi ha un ruolo di rilievo. Non solo Cavaliere, A lui si deve un’altra metafora: quella del purosangue che diventa un ippopotamo. Era il 2011 e, in quelli che per lui sarebbero stati gli ultimi mesi alla guida di un governo, si lamentava della mancanza di poteri per un premier. Non si possono dimenticare le tante figure con sembianze animalesche legate al carrozzone berlusconiano: dalla trota, alla pitonessa, fino al “Porcellum”.
Anche per questo, per i suoi detrattori Berlusconi è stato caimano – dal nome del film di Nanni Moretti – e giaguaro da smacchiare. La paternità dell’ultima metafora è di Pierluigi Bersani, un’autentica autorità in materia di paragoni animaleschi. “La mucca nel corridoio sta bussando alla porta” per commentare la rabbia dietro la vittoria di Trump negli Usa nel 2016; due anni dopo ha rivendicato con un filo di orgoglio di essere quello che “ha detto per primo che c’era la mucca nel corridoio, solo che abbiamo scoperto che la mucca era un toro e ci è passato sopra’, per definire la debacle di Leu alle politiche del 2018.
Il paradosso grillino
In quei giorni si ergeva a protagonista della legislatura il Movimento 5 Stelle, che paradossalmente ha sempre evitato il riferimento animalesco. Il suo padre putativo Beppe Grillo si lasciava scappare un “è come dire che un giorno un panda potrà mangiare carne cruda, mentre noi mangiamo solo cuore di bambù” per chiudere le porte a ogni possibile accordo col Partito democratico. È un caso più unico che raro, su cui ha certamente inciso l’epiteto di “grillini” affibbiato da una stampa spesso avversa. Di Maio, con buona pace di Orwell, ha optato per non utilizzare un ‘linguaggio da fattoria’.
Per il resto, questi giorni lo hanno confermato: nell’habitat della politica nostrana prolifera una fauna variegata.