Che fine hanno fatto le bandiere arcobaleno della pace? Ma, soprattutto, con i venti di guerra che soffiano sempre più forti tra Russia e Ucraina, che fine ha fatto il movimento pacifista italiano, quello che il 15 febbraio 2003 per protestare contro l’imminente attacco americano all’Iraq, portò in piazza a Roma tre milioni di persone?
Russia-Ucraina, i venti di guerra
Esiste ancora? E se esiste, perché non si fa vedere, non manifesta, non fa sentire la sua voce? La domanda se la stanno ponendo in molti, visto che in passato, quando c’era da protestare contro l’installazione dei missili Cruise a Comiso o contro l’arrivo degli aerei Tornado nella base militare di Gioia del Colle, o contro la guerra in Afghanistan, la galassia pacifista organizzava cortei, sit-in, dibattiti. Possibile che di tutto qual movimento sia rimasta solo la marcia della pace Perugia-Assisi, che nel 2021 ha tagliato il traguardo dei sessant’anni?
Guerra, c’è ancora un pacifismo italiano?
“Il pacifismo italiano esiste ancora”, dice Alessandro Marescotti di Peacelink, interpellato da true-news.it, “e si sta mobilitando contro la probabile guerra in Ucraina. Solo che non ha più la visibilità che riusciva ad avere un tempo, è la grande stampa che non dà notizie delle nostre iniziative, e questo non è solo un atto di accusa ai media mainstream, ma anche un’autocritica alle varie componenti del pacifismo italiano che non riescono più a fare rete: se dovessi indicare un limite del pacifismo di oggi, sceglierei quello della comunicazione inadeguata”.
Alessandro Marescotti (Peacelink): “Il pacifismo italiano esiste. Il mainstream ci ignora ma sbagliamo comunicazione”
Le parole di Marescotti, combattivo militante pacifista e ambientalista di Taranto (qualcuno ricorderà quando mise ko l’allora ministro dello Sviluppo economico Luigi di Maio: lo accusò pubblicamente di pubblicità ingannevole per aver dichiarato che erano state installate tecnologie a Taranto che riducevano del 20% le emissioni nocive, facendogli presente che aveva detto il falso) sono supportate da due iniziative di Peacelink.
Russia-Ucraina, gli appelli per la pace
La prima è un appello lanciato sul sito dell’associazione “contro le minacce di guerra in Ucraina e per la costituzione di comitati per la pace a livello locale” (vi hanno aderito ad oggi 1464 persone – tra cui l’attore Massimo Wertmuller e il vignettista Mauro Biani – e 131 associazioni). La seconda la manifestazione convocata per il 26 febbraio, che non vedrà un unico evento, ma “presìdi per la pace in varie città d’Italia per manifestare contro l’escalation militare in Ucraina”.
I numeri, evidentemente, non sono più quelli di una volta. E non c’entra solo la pandemia che ha portato ad evitare assembramenti: dopo l’assalto alla sua sede da parte dei neofascisti di Forza Nuova, la Cgil portò in piazza a Roma centomila persone, i ragazzi di Friday’s For Future hanno marciato in migliaia. Quindi la domanda su cosa sia successo al movimento pacifista italiano resta ancora senza una risposta completa. A meno che non la si vada a cercare in interviste e contributi, uno dello stesso Marescotti, pubblicati su giornali e riviste.
Manifestazioni per la pace: dai 3 milioni del 2003 a Roma ai “mille” di Sant’Egidio oggi
Su Repubblica di venerdì 18 febbraio, alla domanda sul perché nel dibattito pubblico il pacifismo mancava da molto, Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, che aveva promosso la manifestazione “Sì alla pace, no alla guerra”, portando in piazza Santi Apostoli a Roma un migliaio di persone, ha risposto: “Questa è una mia grande preoccupazione. In tante parti del mondo la situazione si va deteriorando, si è incancrenita, vedi ad esempio la guerra in Siria, e le grandi immigrazioni in corso che essa causa. Eppure non si dibatte più sulla pace, come se queste vicende fossero lontane e il tema affidato ad un ristretto club di intenditori e decisori. Questo è assurdo, specie se si pensa che siamo informati di tutto, in contatto continuo con gli altri ed esprimiamo opinioni su qualsiasi cosa; ma c’è un diffuso senso di impotenza, rassegnazione”. E quando Matteo Pucciarelli gli ha posto la domanda: perché in genere è difficile vedere piazze contro Cina o Russia?, Riccardi ha risposto: “In passato c’è stato un pacifismo forse ideologico, ma adesso non c’è tout court, è questo il problema”.
Riccardi (Sant’Egidio): “In passato ideologia, oggi manca il pacifismo”
In una lunga disamina pubblicata nell’autunno scorso su Micromega, Marescotti, invece, spiegava: “Il movimento pacifista italiano ha conosciuto quattro stagioni: la sua primavera, con la marcia Perugia-Assisi del 1961; la sua estate, con la lotta agli euromissili dell’inizio degli anni Ottanta, sostenuto dal PCI di Berlinguer ma anche da tanti giovani e da tante realtà spontanee della società civile; il suo autunno, con la guerra del Golfo del 1991, in cui il pacifismo venne abbandonato dal PCI, ormai a fine corsa, ma per fortuna don Tonino Bello ebbe la capacità, con padre Ernesto Balducci, di ridare un riferimento credibile ad un movimento disconosciuto da chi lo aveva alimentato, magari in funzione anti-craxiana; il suo inverno, con l’appoggio di D’Alema e Fassino alla guerra del Kosovo del 1999 e dell’Afghanistan del 2001; un inverno durato vent’anni, caratterizzato persino da ambiguità durante le guerre di Libia e di Siria che hanno visto uno sbandamento vistoso del movimento pacifista”.
Guerre nel mondo e la “sinistra con l’elmetto”
Marescotti individua in quella che chiama “la sinistra con l’elmetto” una delle cause della parabola discendente del pacifismo italiano: “Rispetto a sessanta anni fa va notato che l’assedio posto al pacifismo non proviene dalla destra militarista ma dalla sinistra con l’elmetto, quella governativa. Siamo stati delegittimati non dai nostri avversari ma dai nostri “amici”. È stata la sinistra – che un tempo marciava contro gli euromissili – ad abbandonare e poi a isolare il movimento che si opponeva alla guerra in Afghanistan. Il movimento pacifista è stato sabotato dall’interno. Ci chiedevano una legittimazione della guerra per i diritti umani. In nome dei diritti umani ci hanno chiesto di rinunciare alla bandiera della pace e ci hanno proposto un elmetto umanitario”.