di Francesco Floris
La rivoluzione non è un pranzo di gala. Ma ci assomiglia. “Possiamo andare fino al Palazzo della Regione?” si sono sentiti rivolgere i poliziotti che giovedì scorso hanno bloccato sul nascere a Bresso la protesta dei ristoratori in arrivo a Milano da tutto il nord Italia. “No”, la risposta secca degli agenti. Erano arrivati addirittura dal Ponente ligure con 40 macchine i proprietari di locali arrabbiati e contro il lockdown. Per “invadere Milano” contro la “dittatura sanitaria” che uccide le piccole attività commerciali. Non sono riusciti a invadere nemmeno l’hinterland e sono tornati a casa con le pive nel sacco sul tortuoso percorso della Serravalle. Sabato sera. Corso Buenos Aires. Il passaparola fra i centri sociali e gruppi antagonisti convoglia una trentina di persone in piazza Argentina. Anche loro puntano a Palazzo Lombardia per chiedere reddito di emergenza per tutti. Giacche nere, zaini, qualche casco. I carabinieri lo vengono a sapere e si schierano. Si tentenna per qualche ora in un gioco di ruolo fra celerini e manifestanti (che sono meno dei giornalisti presenti). La serata si chiude in un nulla di fatto. “Nemmeno cinquanta persone, siamo degli sfigati” dice una ragazza affranta mentre si allontana da piazzale Loreto verso le 22:30.