Perchè questo articolo potrebbe interessarti? Siamo agli ultimi giri di boa a cavallo del voto. Tra domenica sera e lunedì potresti imbatterti in una serie di espressioni, giornalistiche o politiche, a commento dei risultati. Ogni notte elettorale che si rispetti ha le sue parole chiave. Tra queste c’è “Ohio”: lo stato americano che per anni si è rivelato termometro delle elezioni presidenziali. Ma nelle prossime elezioni italiane non sembra esserci un corrispettivo.
Tutto pronto per la notte più lunga della politica italiana. Anche se il destino di queste elezioni sembra già indirizzato, non mancheranno una serie di termini e frasi fatte tipiche del lessico a commento dello spoglio. A rompere il silenzio elettorale saranno gli “attendiamo dati consolidati”, “il segnale dell’affluenza”; per poi passare a un più corposo “ha vinto l’astensionismo”; fino alle due velocità tra “il clima di grande attesa” fuori dalle sedi di partito e i “dati a rilento” fuori dal Ministero dell’Interno. Tra “forchette e forbici”, “proiezioni ed exit poll” però a farla da padrona sarà la ricerca del mitico “Ohio italiano”.
Non c’è più l’Ohio di una volta
I giornali hanno già iniziato a ipotizzare quale territorio dello Stivale sia destinato ad assurgere al ruolo di “Ohio del nostro paese”. L’espressione è figlia dell’interesse ormai endemico nei confronti della politica americana. Riferendosi allo stato per anni indicatore cruciale per annunciare anticipatamente l’esito delle Presidenziali oltreoceano.
Peccato che da tempo l’Ohio non sia più decisivo. Il piccolo stato del Midwest in passato ha segnato molte elezioni. La composizione etnica mista della sua popolazione faceva dell’Ohio lo stato chiave per capire il flusso dei voti tra partito democratico e repubblicano. Ultimamente però la componente demografica è cambiata, con un aumento della popolazione bianca. L’Ohio è ormai diventato uno stato saldamente repubblicano e ha perso il suo ruolo di termometro. Nelle ultime presidenziali Donald Trump ha vinto nello stato, per poi perdere l’elezione.
Il termometro del voto in Italia
Venendo a noi, quindi, quale potrebbe essere il territorio chiave per capire l’andamento del voto? Digitando “Ohio d’Italia” su internet compiano una sfilza di regioni italiane. Nel corso degli anni la similitudine è stata affibbiata a: Calabria, Molise, Puglia, Umbria; ma anche Roma, Sesto San Giovanni; e ora alla Campania.
Il discorso non vale solo per le politiche. La sensazione è che ogni volta che un comune, una regione o un collegio di una qualche rilevanza – storica o ideologica – diventi contendibile possa generare un effetto a valanga sulla politica nazionale.
I nove collegi in bilico
Sembra allora che la notte del 25 settembre grande attenzione sarà riposta ad alcuni collegi considerati in bilico. Escludendo il nord – ripartito in una quasi totalità di feudi del centrodestra e alcune isole di sinistra – e le regioni “rosse del Centro, i riflettori si accendono al Sud.
Quelli più in bilico, secondo i principali quotidiani nazionali sono nove, tutti nel Mezzogiorno. Due in Sardegna (Sassari e Cagliari), due in Puglia (Andria e Bari), cinque invece in Campania (Giugliano, Torre del Greco, Napoli Fuorigrotta, Napoli San Carlo e quello senatoriale dell’intero capoluogo).
Le elezioni non sono contenibili
Nove collegi danno la misura di quanta poca competizione ci sia in realtà nell’esito delle elezioni. L’incidenza dei territori in bilico è relativa: possono al massimo ridurre la vittoria “bulgara” del centrodestra in un’ampia vittoria. L’Italia va verso una delle affermazioni elettorali più grandi della storia repubblicana. Indipendentemente dai suoi “Ohio”.