La maglietta con l’immagine di Putin in regalo a Salvini per ricordargli i suoi trascorsi filo-Putin? Se il sindaco della località polacca che l’ha “offerta” al leader leghista avesse ricevuto la visita di Silvio Berlusconi, avrebbe dovuto dotarsi quantomeno di una mitraglietta, si spera giocattolo. Era il 2008, infatti, quando l’allora Cavaliere, in Sardegna, durante una conferenza stampa congiunta con Vladimir Putin, sottolineò la domanda di una giornalista al premier russo mimando il gesto di una sventagliata di mitraglietta. Si riferiva al trattamento che in Russia riservavano (e riservano) ai giornalisti. La location era quella di Porto Rotondo, la domanda era stata rivolta a Putin da una cronista russa e riguardava la sua vita privata (“E’ vero che lei vuole divorziare?”). Mentre Putin non eludeva la domanda, Berlusconi faceva quel gesto che sarebbe stato subito stigmatizzato dalla federazione della stampa, visto che erano già duecento i cronisti uccisi allora in Russia e nessun colpevole era stato mai catturato.
Alla fine della conferenza stampa, Natalia Melikova della “Nezavsinaya Gazeta”, che appariva piuttosto scossa – raccontano le cronache dell’epoca – scoppiò in lacrime e commentò speranzosa: “Ho visto il gesto del vostro presidente e so che scherza sempre. So che il gesto non avrà alcuna conseguenza”.
Nessuno batte Silvio
Nel 2008 i social in Italia non erano diffusi come lo sono oggi, per cui di questo episodio è rimasta traccia solo negli archivi dei giornali, dove bisogna scavare per far riemergere certi episodi, o nella memoria di quei fatti ha vissuto, raccontandoli o leggendone. Non tutti, però. Alcune figuracce fatte dai nostri politici sono diventate talmente “iconiche”, giusto per usare un termine molto à la page, che sono rimaste ben impresse nella memoria collettiva anche se le imprese sono state compiute prima della diffusione dei social media.
Il solo Berlusconi ne ha collezionate talmente tante che rimarrà ancora a lungo il recordman italiano assoluto.
Dalle corna immortalate nella foto ricordo ufficiale al vertice dei ministri dell’Estero Ue (aveva assunto l’interim del dicastero) a Caceres in Spagna nel 2002, quando dispiegò le fatal dita davanti al ministro spagnolo, fino al nascondino di Trieste con Angela Merkel, sorpresa con un “cucù” dopo essere sbucato da dietro un pilone portabandiera, passando per la figuraccia fatta con Elisabetta II a Buckingham Palace, gli scivoloni di Berlusconi meriterebbero una voce su Wikipedia, ammesso che già non ci abbiano pensato.
Gli epic fail di Salvini
Oggi cogliere in fallo un politico quando una sua dichiarazione, un suo atteggiamento, una sua presa di posizione possono essere inseriti nella categoria “epic fail” è più semplice. Tornando a Salvini: i social sono stati la spinta propulsiva della sua ascesa, i social possono diventare quella “risata che vi seppellirà” che tanto veniva predicata negli anni ’70 dai movimenti di contestazione. Perché la rete non dimentica e oggi si ha a disposizione una micidiale arma di distruzione mirata che va sotto il nome di screenshot, la foto della schermata con il tweet o il post su Fb che i più vendicativi conservano, prefigurando che prima o poi potrà tornare utile per vendicarsi o “rinfrescare” la memoria. Seguire Selvaggia Lucarelli per crederci.
La brutte figure non sono, però, solo appannaggio di Berlusconi e Salvini. Anche se quest’ultimo ce l’ha sempre messa tutta per competere col maestro di Arcore. Come si fanno a dimenticare certe dichiarazioni di Matteo di ritorno da un viaggio in Corea del Nord dove si era recato con Antonio Razzi? La strana coppia, volata nel regno di Kim Jong Un con una delegazione di imprenditori italiani, era tornata entusiasta: “La Corea del Nord? E’ una figata pazzesca”, fu il commento di Salvini. E in una intervista al “Corriere della Sera” spiegò il perché: “I bambini giocano per strada, non alla Playstation. E poi c’è grande rispetto per gli anziani, tutte cose che in Italia c’erano e non ci sono più”. E poi, “internet e il telefonino non andavano: un’esperienza impagabile, che da sola vale il viaggio”. Il top poche righe più tardi: “La pena di morte c’è anche negli Stati Uniti e quanto alla libertà di stampa non è forse vero che da noi si cantano le lodi di Renzi tutti i santi giorni?”. Ma vuoi mettere: “lì lo Stato dà tutto: la casa, la scuola, il lavoro”. A questo punto sconsiglieremmo all’ex comunista padano di recarsi per qualsivoglia motivo in Corea del Sud: chissà che gadget gli riserverebbero.
Di Maio e Di Pietro
Ma vogliamo parlare di altre figure barbine fatte dai politici italiani all’estero? Alcuni li elenca Salvatore Merlo sul “Foglio”: “Luigi Di Maio che, per rimediare (secondo lui) all’incidente diplomatico con la Francia per via della foto con i gilet gialli, pensò bene di tornare sul luogo del delitto per spiegare al quotidiano Monde che lui nutriva grandissima ammirazione per la tradizione democratica “millenaria” dei francesi. Testuale: millenaria. In Francia ancora ridono (e nulla sanno di “Mr. Ping”). O “Manlio Di Stefano, che dopo aver spiegato che “il terrorismo islamico non esiste” iniziò a grattarsi la fronte inutilmente ampia chiedendosi perché mai gli israeliani ce l’avessero con lui. Gli ebrei gli impedirono di entrare a Gaza, noi l’abbiamo fatto sottosegretario agli Esteri. Altro che D’Alema, quando si faceva fotografare in giro per Beirut con i terroristi di Hezbollah (battuta dell’epoca: “il Massimo della pace”). Altro che Mario Scelba, che in Francia fu accolto dal premier: “Piacere Mendès France”. E lui: “Piacere Scelba, Italie”».
Per tornare in patria: si potrà mai dimenticare il sorriso compiaciuto di Danilo Toninelli, ministro pentastellato delle Infrastrutture nel Conte I, davanti al plastico del ponte Morandi di Genova, da poco crollato (43 morti) nello studio di “Porta a porta?”. O il mefistofelico ghigno dell’attuale ministro degli esteri Di Maio che annunciava dal balcone di palazzo Chigi che in Italia era stata abolita la povertà dal governo gialloverde?
Sugli scivoloni grammaticali, apripista Antonio Di Pietro, ma con ampio seguito bipartisan, stendiamo un pietoso velo. E rivedere oggi la foto di Angelo Gallo, il militante calabrese della Democrazia Cristiana che nel 1979 tirò le orecchie ad Amintore Fanfani in chiesa durante una messa in suffragio di Aldo Moro, ci ispira perfino tenerezza. I panni sporchi allora almeno si lavavano in famiglia, adesso il cappello con la scritta “asino” sulla testa dei politici lo mettono gli stranieri. E non resta che nascondersi dietro la lavagna.