Mentre impazza il dibattito pubblico, sempre più polarizzato, sulla crisi in Ucraina, a pochi passi dall’Italia rischia di innescarsi un nuovo focolaio di instabilità. Parliamo della Libia, paese da sempre al centro della proiezione geopolitica, economica e diplomatica di Roma. Una partita in cui l’Italia può giocare carte importanti per riconquistare un ruolo essenziale come partner e interlocutore.
La Russia, infatti, ha agito in maniera determinante negli ultimi anni per quello che riguarda le dinamiche libiche, al pari di altri attori esterni come Turchia e Francia. Oggi, però, la crisi in Ucraina attrae su di sé gran parte dell’attenzione delle cancellerie europee. Ecco allora che l’Italia ha l’opportunità di giocare le sue carte.
La situazione nel paese
Per capire scenari e prospettive occorre partire dalla cronaca politica recente. Il paese nordafricano si ritrova diviso in uno strano e nuovo bipolarismo, diverso da quella che abbiamo imparato a conoscere negli anni come contrapposizione fra Fayyez al Sarraj e Khalifa Haftar.
Da una parte infatti, c’è il Governo di unità nazionale (Gun) del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalle Nazioni Unite e istituito come esecutivo ad interim per portare il paese a elezioni lo scorso dicembre (cosa che non è accaduta); dall’altra il Governo di stabilità nazionale (Gsn) del premier Fathi Bashagha, designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk per sostituire il governo transitorio.
Per dirla con un eccesso di sintesi: Dabaiba non ha alcuna intenzione di mollare l’osso, tanto che nelle ultime settimane le milizie e i gruppi armati legati ai due leader sono stati a un paso dall’avviare una vera e propria escalation militare.
Cosa può fare l’Italia?
L’Italia quale ruolo gioca in questa situazione? Secondo Arturo Varvelli, Senior Policy Fellow for the European Council on Foreign Relations (ECFR), l’Italia per il momento cerca di mantenere aperti i canali di dialogo con entrambe le parti disputanti, spingendo per la diplomazia con l’obiettivo di evitare il peggio.
L’ambasciatore d’Italia in Libia, Giuseppe Buccino, mantiene una posizione prudente e aperta, spiega l’esperto, secondo il quale “Dabaiba e Bashagha non hanno interesse ad uno scontro militare vero e proprio”, questo perché “da un lato entrambi vogliono evitare il danno d’immagine che un bagno di sangue provocherebbe nei loro confronti” e dall’altro “per il sostegno delle milizie che li supportano”, che non è granitico come si potrebbe pensare. In Libia, vale la pena ricordarlo, i gruppi armati e le milizie che detengono una piccola porzione del “monopolio della violenza” intessono con i vari leader politici alleanze tattiche, interessate e – per forza di cose – non destinate a durare per sempre.
“Il lavoro della Farnesina e della diplomazia italiana è fondamentale sotto il profilo politico, con una posizione sostanzialmente favorevole all’approccio di Stephanie Williams (consigliere speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Libia, ndr), che spinge per il dialogo fra le parti in lotta”, spiega ancora Varvelli. In ballo, però, non c’è solo il “prestigio” politico ma anche il dossier energia.
“La crisi in Ucraina – argomenta lo studioso – ha riportato al centro dell’agenda politica italiana la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico (con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal gas russo, ndr)”. “Aumentare le forniture dall’Algeria? Capire se in Libia possono produrre più di così? Sono queste le questioni al centro della politica estera italiana in questo momento”, prosegue.
Tutte le potenze in gioco
Ai tentativi dell’Onu e dell’Italia di evitare lo scontro aperto in Libia si aggiungono – cosa tutt’altro che scontata – quelli degli Stati Uniti. In questo contesto si inserisce l’attivismo dell’inviato speciale degli Stati Uniti in Libia, l’ambasciatore Richard Norland, che negli ultimi due giorni ha avuto colloqui sia con Dabaiba che con Bashagha per spingerli alla moderazione.
Un atteggiamento simile – aperto al dialogo con Dabaiba e Bashagha e favorevole alla de-escalation – sembra essere adottato anche da altri attori coinvolti nel dossier libico, come per esempio Francia e Turchia. “Molti attori internazionali in passato hanno investito molto capitale politico in Libia, con un risultato in fin dei conti a somma zero”, spiega Varvelli, ricordando che – ad esempio – Francia e Russia negli anni hanno spalleggiato (più o meno apertamente) il generale Haftar e il suo autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna).
Oggi, però, la situazione è molto più sfumata, così come gli schieramenti. “La Francia, come al solito, pensa di poter far bene e di farlo in maniera unilaterale, ma anche loro in questo momento sono prudenti e attendisti, anche perché Macron ha le presidenziali da affrontare e non ha alcun interesse nell’apertura di una nuova escalation (che si andrebbe ad aggiungere a quella in corso in Ucraina)”, prosegue Varvelli. Stesso vale per il sostegno turco a Bashagha, uomo forte della “città-stato” di Misurata le cui milizie sono tra le più potenti dell’intero panorama libico. “Ankara ha in parte rimodulato la sua posizione, aprendo anche al dialogo verso Dabaiba”, osserva l’esperto.
Un dossier meno importante
“In generale – secondo lo studioso – la Libia ha perso parte della sua centralità nelle dinamiche internazionali, complici gli Accordi di Abramo (fra Israele e diversi Stati arabi, ndr) che hanno mutato la situazione regionale”. Ma questo si deve forse al fatto che in generale il Mediterraneo è ormai una specie di lago periferico in un planisfero con ormai al centro il Pacifico piuttosto che l’Atlantico? “E’ vero solo in parte, lo era certamente di più prima della crisi ucraina”, puntualizza l’esperto. “Gli ultimi avvenimenti potrebbero ridare centralità al Mediterraneo, considerato per esempio il ruolo di una Turchia che potrebbe rivedere le proprie posizioni in senso più atlantista e filo-occidentale. Va considerato anche il fattore energetico, di cui parlavamo prima. Con la necessità di diminuire la dipendenza dal gas russo, ad esempio, si fa sempre più largo la necessità di riflettere sulle risorse energetiche del Mediterraneo orientale (East-Med)”, conclude Varvelli.
Insomma, l’Italia ha buone carte da giocare in quella che è la sfida per il futuro non solo della Libia ma dell’intero bacino mediterraneo. Lo ha già fatto, spiega ancora Varvelli, con la conferenza di Berlino sulla Libia del 2020. “In quell’occasione – ricorda lo studioso – l’adozione di posizioni simili tra Italia e Germania ha permesso di smussare le divergenze con la Francia. In quel modo si tolse anche l’iniziativa a Turchia e Russia, attori maggiormente impegnati sul campo fino a quel momento. E’ mancata, però, la decisione per tener vivo quello slancio”.
I grandi cambiamenti in atto possono essere l’occasione per riprendere il discorso da dove lo si è lasciato, per far sì che l’Italia ritrovi il proprio ruolo in quella che, storicamente, è in un certo senso la terza sponda mediterranea del nostro paese, forte di legami non solo economici e politici ma anche culturali e umani.