Perchè questo articolo dovrebbe interessarti? Il nuovo dizionario Treccani, che verrà pubblicato a ottobre, introdurrà una grande novità. Sarà infatti il primo vocabolario italiano a registrare le forme femminili di nomi e aggettivi insieme a quelle maschili. I due termini sono disposti a seconda dell’ordine alfabetico o, in alcuni casi, in voci separate. Non sono mancate le critiche. Ne abbiamo parlato con i linguisti Andrea De Benedetti e Massimo Arcangeli.
Treccani dà pari importanza ai generi grammaticali
La direttrice e il direttore del progetto – Valeria Della Valle e Giuseppe Patota – hanno spiegato che questa soluzione mira a restituire alle parole il loro reale peso, senza mettere in difficoltà chi utilizza il vocabolario. Il metodo di ricerca dei lemmi sarà quindi invariabile, con l’eccezione per cui si possono ritracciare sia i termini al femminile che quelli al maschile, in ordine alfabetico.
Parallelamente c’è stato un uso più consapevole del vocabolo “uomini”. Laddove era utilizzato in senso ampio e privo di riferimenti di genere è stato sostituito con “esseri umani”. A ciò si unisce un’attenzione alla formulazione delle definizioni in modo da renderle accessibili a un numero più vasto di utenti. Sono state eliminate quindi le forme arcaiche o eccessivamente specialistiche.
Il filo conduttore di queste scelte consiste anche in una maggiore adesione alle realtà linguistica contemporanea. L’italiano in uso è infatti sempre meno legato alle espressioni arcaiche e sempre più aperto – nonostante le molte resistenze – ad accogliere i termini femminili, anche legati agli ambiti professionali. Il nuovo volume darà un’immagine di questa situazione linguistica.
Il maschile non è marcato?
La scelta della Treccani ha sollevato anche numerose contestazioni. Andrea de Benedetti, linguista e autore di Così non schwa, spiega infatti il suo dissenso: “Questa scelta dei curatori del vocabolario Treccani non mi convince del tutto, perché non ritengo che possa avere delle ricadute concrete sulla vita delle donne, sulla loro presenza e rappresentatività in certi mestieri. In questo caso mi sembra che non ci sia una reale relazione tra la lingua e la presenza delle donne. Anche dal punto di vista linguistico è una scelta che mi convince poco, perché in italiano il maschile rappresenta anche la forma non marcata. È la forma prototipo dei sostantivi e degli aggettivi. È a partire dalle forme maschili che si formano i femminili.
Nonostante ciò io credo che si debbano usare le forme femminili laddove possibile. Non tanto e solo per restituire una maggior visibilità alle donne, quanto per una questione di razionalizzazione del sistema. È giusto che il criterio di formazione del femminile sia esteso ai casi in cui è possibile utilizzarlo. Mi sembra inoltre un’argomentazione più forte e più inoppugnabile anche di fronte a chi è più ricalcitrante davanti a questo uso”.
La necessità di una lemmatizzazione a sé stante
Anche il linguista Massimo Arcangeli – candidato con Unione Popolare per le prossime elezioni – non ha accolto favorevolmente la scelta della Treccani. “Non c’è nessuna ragione strutturale per cui non usare i femminili professionali. Eppure in questo caso è stata compiuta un’operazione insensata: Treccani ha rinunciato a lemmatizzare gli aggettivi nella forma neutra in -o a favore di una doppia registrazione.
Questa decisione non c’entra nulla con l’innovazione linguistica, è tecnicamente indifendibile e ideologicamente inconsistente. Per favorire davvero la parità di genere, Treccani avrebbe dovuto lemmatizzare a sé sindaca, ingegnera, assessora e così via. È un’operazione di marketing della peggior specie che, secondo me, non condurrà da nessuna parte”.