L’obbligo di vaccinazione per l’operatrice sanitaria è “irragionevole”. A dirlo è una sentenza del Tribunale di Padova che potrebbe cambiare le sorti dei dipendenti che, non essendosi vaccinati, s0no stati sospesi dal lavoro.
Giudice: “Vaccino garanzie pari a zero contro Covid-19”
Il 28 aprile scorso, il giudice del lavoro del Tribunale di Padova, Roberto Beghini, ha accolto il ricorso di un’operatrice sanitaria dell’azienda Ulss n.6 Euganea che era stata sospesa dalle sue mansioni per non aver fatto il vaccino, obbligatorio per la categoria fino alla fine dell’anno corrente (31 dicembre 2022), come stabiito dal nuovo decreto. La sentenza evidenzia l’irragionevolezza dell’obbligo di immunizzazione, che secondo il giudice darebbe garanzie “pari a zero” sulla prevenzione dal contagio da Covid-19.
“Chi si vaccina può comunque contagiare”
Sfogliando la sentenza, si rintracciano i motivi dell’irragionevolezza posta dalla norma. “L’obbligo vaccinale – recita la sentenza – imposto ai lavoratori in questione non appare idoneo a raggiungere lo scopo che si prefigge, quello di preservare la salute degli ospiti: e qui risiede l’irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 Cost. Può infatti considerarsi notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale, può comunque contrarre il virus e può quindi contagiare gli altri“.
“Numero dei contagi elevato nonostante i vaccini”
Può dunque notoriamente accadere, ed effettivamente accade, come conferma l’esperienza quotidiana, che una persona vaccinata contragga il virus e contagi le altre persone (vaccinate o meno che siano). Come emerge dai dati forniti dal Ministero della Salute nonostante l’avvio della campagna vaccinale, il numero di contagi più elevato in assoluto dall’inizio della pandemia, pari a + 220.532, è stato registrato l’11.01.2022.
Il giudice: “Il tampone dà più garanzie del vaccino”
All’interno del provvedimento sull’obbligo vaccinale del Tribunale di Padova in merito alla vicenda dell’operatrice sanitaria sospesa, viene evidenziato pure che il tampone, rispetto alla vaccinazione, darebbe molte più garanzie di assenza di contagio.
Si legge: “La persona vaccinata, che non si sia sottoposta al tampone, può essere ugualmente infetta e può quindi ugualmente infettare gli altri: la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero”. Poi viene ribadito: “Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici e tale è il motivo per cui esso deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone, ripetesi, è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero. Quanto allo “stress” delle strutture sanitarie, è notorio che il tampone viene effettuato anche dalle farmacie e che il costo è sostenuto dal privato”.
“Obbligo vaccinale irragionevole e contro i principi di proporzionalità”
Nella parte finale della sentenza, il giudice Roberto Beghini rimarca l’irragionevolezza e la sproporzionalità dell’obbligo vaccinale per i sanitari. Scrive: “La normativa italiana che sospende drasticamente dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sembra violare anche il principio di proporzionalità sancito dall’art. 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo cui “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta (tra cui il diritto di lavorare di cui all’art. 15 della stessa Carta, ndr) devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà”.