La Lega ha un obiettivo: la doppia cifra. Sarà il raggiungimento, o meno, di questa soglia alle Europee a far capire se il Congresso della Lega della scorsa settimana sia stato un successo o meno. Perché? Semplice: tutto il partito ha scelto di rinviare qualsiasi scelta sul futuro di Matteo Salvini a dopo le Europee, con il voto federale a ottobre sulla leadership.
La Lega sarà, da qua al 9 giugno, chiamata a vogare compatta come un sol uomo. Dunque tutta la Lega ha scelto, dopo i dissapori, le critiche della componente veneta del partito a Salvini, i dilemmi sulle candidature e gli ambivalenti risultati alle Regionali in Sardegna e Abruzzo, chiamata a dare un’altra cartuccia, forse l’ultima e più importante, a Salvini. La scommessa è, secondo quanto ricostruibile nelle giornate successive al più recente incontro leghista, in un do ut des: Lega compatta per portare avanti al contempo le istanze del “popolo” di Salvini, dalle battaglie conservatrici e identitarie, e quelle governiste, prima tra tutte l’agognata autonomia.
Il patto delle Europee
Agli osservatori più attenti non è sfuggito che, se da un lato Salvini ha fatto palesi passi indietro su battaglie come la volontà di candidare il generale Roberto Vannacci e altri “volti” noti del mondo identitario e di destra extraleghista, cosa di cui si è ampiamente parlato, dall’altro nessun capofila della Lega governista ha messo in discussione la campagna elettorale profondamente euroscettica del (fu?) Capitano. Insomma, battaglie di governo e battaglie elettorali unite per raggiungere la soglia del 10% che vorrebbe dire un miglioramento rispetto alle politiche 2022.
La scommessa? Sperare che Forza Italia manchi il sorpasso e che Fratelli d’Italia non avanzi dalle politiche. Dunque mirando a confermare un equilibrio che mantiene la Lega al governo, “pungolo” di Giorgia Meloni e Fdi. Il 34,8% del 2019 è un lontano ricordo. Ma c’è una Linea del Piave da difendere. Un risultato sopra il 10%, che permetterebbe di mantenere in doppia cifra la delegazione leghista a Strasburgo, sarebbe soddisfacente. Dall’8,8% al 10% la Lega pareggerebbe: non supererebbe la doppia cifra ma migliorerebbe le politiche. Sotto l’8,79% del 2022, in un voto nazionale una nuova regressione aprirebbe la discussione sul futuro di Salvini.
In arrivo sfide decisive per la Lega
In ogni caso, la scommessa della Lega – e ripetiamo, tutta la Lega – è che nel momento attuale non valga la pena cambiare cavallo in corsa né nella segreteria né nel gruppo europeo di riferimento, che resta quello sovranista di Identità e Democrazia, né nelle battaglie di riferimento per consolidare la corsa alle Europee. Dopo le quali si apriranno sfide decisive: le riforme in campo (premierato e, appunto autonomia); la manovra economica; l’avvicinamento alla campagna elettorale del 2025, con in palio le candidature in Regioni come Emilia, Veneto e Toscana; la scelta del commissario europeo dell’Italia.
La Lega può affrontarle solo con una leadership chiara. E sarà il voto delle Europee a far capire se sarà la Lega di Matteo Salvini o no a combattere queste battaglie. Ma c’è un tema: chi potrebbe succedere al Capitano ammaccato ma non sfiduciato? Questa è una domanda ancora da dirimere. Esiste un fronte di scettici di Salvini, tra Lombardia e Veneto. Ma non ancora un palese schieramento anti-Salvini. Saranno nuovamente le Europee a capire se si potrà plasmare o meno