A più di un anno e mezzo dallo scoppio della guerra su larga scala, la bandiera dell’Ucraina in Occidente non va più di moda. Un sondaggio Reuters/Ipsos di ottobre rivela come solo il 41% degli americani sia convinto della necessità di continuare ad armare Zelenskiy. Erano il 61% lo scorso maggio. La stessa tendenza è confermata da sondaggi analoghi svolti nelle ultime settimane in Francia, Italia, UK, Germania e in tutte le maggiori democrazie occidentali. Le cause sono diverse, alcune legate alla stretta attualità, come la guerra tra Israele e Hamas che sta tenendo il mondo col fiato sospeso, altre al funzionamento della società dell’informazione moderna, con le notizie che si susseguono in un flusso continuo, determinando un bisogno costante di trovare qualcosa di nuovo di cui parlare. In ogni caso, i giorni dell’entusiasmo iniziale, quelli dell’incondizionato supporto a Zelenskiy e al suo popolo, sono sempre più lontani.
Intervista a Oleg Bakhmatyuk, dell’azienda ucraina Ukraland Farming
Ma per capire come mai questo calo di interesse rappresenti un gravissimo errore abbiamo incontrato Oleg Bakhmatyuk, il businessman alla guida di Ukrland Farming, un gruppo di aziende agricole tra i più grandi d’Ucraina e del mondo, capace di produrre, ancora oggi e nonostante la guerra in corso, oltre 400 mila tonnellate di girasoli, 1,5 milioni di tonnellate di mais, 150.000 di orzo e molto altro.
Nel 2022, sulle colonne del Wall Street Journal si parlò di una delle aziende del gruppo, Avangardco, che prima della guerra era la seconda al mondo nella produzione di uova: i bombardamenti russi nel Sud del Paese avevano causato la morte di oltre 5.000 animali e la distruzione del 70% degli asset, con conseguenze nefaste anche sull’ambiente. Da allora l’azienda si è più o meno rimessa in sesto, ma la vicenda – per cui Mr. Bakhmatyuk intende denunciare la Russia per danni– è emblematica del peso che la guerra in Ucraina potrebbe avere sull’economia mondiale.
“Si è andata formando, nell’opinione pubblica occidentale, la convinzione che la guerra in Ucraina sia qualcosa di secondario, il cui esito che non la riguardi da vicino” argomenta Mr. Bakhmatyuk. “La realtà è ben diversa. A livello agricolo, l’Ucraina è uno dei grandi mercati del mondo. Prima della guerra, copriva l’8% del fabbisogno mondiale di grano, il 13% del mais, un terzo dell’olio di semi di girasoli. Molti Paesi avevano nell’Ucraina un punto di riferimento insostituibile per quanto riguarda l’approvvigionamento di alcuni generi alimentari di prima necessità”.
A quali Paesi si riferisce?
“Per esempio, il Libano importa dall’Ucraina il 60% del proprio fabbisogno di grano, ma in generale tutta l’area medio orientale. E la stessa UK, dove il 43% del mais, usato per alimentare il bestiame, era di provenienza ucraina. A Livello internazionale, l’Ucraina è stata un player fondamentale nella sostenibilità alimentare: purtroppo la guerra ha portato a un crollo della produzione, dal momento che una buona parte dei terreni coltivati è teatro di scontri bellici o occupata dall’esercito straniero”
In effetti, Secondo la FAO, tra il 20 e il 30% dei terreni una volta coltivati prima della guerra è oggi inutilizzabile a scopi agricoli, a cui si aggiunge la carenza di manodopera, visto l’enorme impegno richiesto dalla guerra al popolo ucraino. La stessa Avangardco, pur avendo evitato il fallimento, è passata da 7 a 1,5 miliardi di uova prodotte su base annua.
“Questa crollo della produzione” continua Mr. Bakhmatyuk “ha avuto come effetto un aumento dei costi di diversi generi alimentari che a sua volta ha determinato un aumento dell’inflazione. Il problema è che mentre i Paesi più ricchi possono assorbire questi aumenti o quantomeno contenerli, i Paesi più poveri sono senza difese, e stanno andando incontro a conseguenze potenzialmente catastrofiche”
Quali?
“Instabilità politica, in zone del mondo già molto instabili o sensibili alla causa del terrorismo internazionale. La fame agisce come benzina in uno scenario esplosivo: ricordiamoci che le Primavere arabe, dalle cui ceneri nacque l’Isis, sono nate proprio a causa dell’aumentato prezzo del cibo. Ma la crisi che portò all’aumento dei prezzi nel 2010 è nulla se paragonata a quella attuale: oggi si rischia una crisi alimentare internazionale, basti pensare che già oggi la quasi totalità delle aziende agricole ucraine – con l’eccezione della nostra – opera in negativo”.
Qual è la sua previsione sul futuro del conflitto?
“Si pensa che la guerra si risolva da sola, ma la verità è che, se non accadono interventi esterni, si va verso uno scenario come quello del conflitto Iran-Iraq, una guerra lunga, estenuante: i prezzi, insomma, non scenderanno nel breve termine. Non voglio neanche pensare a cosa potrebbe succedere invece, se assecondando una certa parte delle forze politiche europee e americane, l’Occidente dovesse disimpegnarsi e lasciare l’Ucraina al proprio destino. Allora le conseguenze sarebbero ancora peggiori”.
Qual è la strategia da seguire, quindi?
“L’unica strategia per l’Ucraina è continuare a combattere. E per l’Occidente, fare di tutto per sostenerla fino alla vittoria, che spero arrivi nel più breve tempo possibile, in modo da scongiurare una crisi alimentare e umanitaria da cui rischierebbe di finire travolto”.