Chiara Ferragni è un grande bluff. Lo è sempre stata. Un’allucinazione collettiva a base di aria fritta e “Hi, guys!”. L’Antitrust l’ha multata per un milione di euro a causa della supposta beneficenza (a se stessa) dell’operazione pandori Balocco, Natale 2022. Lei si mostra su Instagram travestita da povera, come tutti i ricchi fanno quando vogliono apparire contriti, per pietire perdono. Peccato solo che ogni “sciatto” capo che indossa, dall’orologio al felpino, costi quanto un monolocale a Milano. Il punto non è questo, però.
Non è certo una colpa essere milionari. Il cuore della questione è lo storytelling che ci siamo bevuti, a grandi sorsate, sul conto dell’insalata bionda. “Si è fatta da sola”, “All’inizio era soltanto una ragazza come tante altre, con il sogno della moda”, “Una sua collaborazione fa aumentare esponenzialmente le vendite di un qualunque prodotto”, “È comunque una grande imprenditrice di se stessa”. Tutti luoghi comuni a cui siamo assuefatti e che è stata proprio lei a far nascere e ad alimentare nel tempo tramite ogni organo di propaganda possibile, da Instagram fino al Festival di Sanremo passando per Prime Video con la serie Ferragnez. Vediamo di sfatare alcuni falsi miti riguardo alla favolosa Chiara Ferragni, restando adesi alla realtà fattuale. Realtà fattuale che non avrà milioni di follower su Instagram. Ma che, nonostante ciò, esiste. Per chi vuole vederla, naturalmente.
Chiara Ferragni non si è “fatta da sola”
Chiara Ferragni, lo stabilisce l’Antitrust, ha truffato i consumatori, ossia noialtri, insieme a Balocco mettendo in vendita pandori griffati col suo nome a prezzo maggiorato e facendo credere che il ricavato delle vendite sarebbe andato in beneficenza al reparto pediatrico dell’Ospedale Regina Margherita di Torino. Invece, si è intascata il bottino per intero. Oggi parla di “errore di comunicazione” e fa ammenda promettendo di elargire un milione di euro e altri soldi, soldi, soldi. Mentre, sempre grazie a Selvaggia Lucarelli che fu la prima a gettare ombre sulla questione, si addensano sospetti anche riguardo alle uova di Pasqua ferragniche in partnership con Dolci Preziosi, sempre messe in commercio con l’alibi della beneficenza. In attesa di scoprire come andrà a finire pure questa storiaccia, andiamo a sfatarne un’altra: Chiara Ferragni “si è fatta da sola”. Falso.
Chiara Ferragni nasce in una famiglia assai bene di Cremona. Quando inizia a postare sugli antenati dei moderni social i propri outfit grandi firme, non fa altro che prendere ogni capo, assemblandolo pure malissimo, dall’armadio che tiene in cameretta. Dior, Gucci, Dolce & Gabbana, Fendi. Lo standard di una qualunque ragazza di provincia. Senza l’incontro con l’ex fidanzato Riccardo Pozzoli, poi, non sarebbe nato il mitologico blog “The Blonde Salad” da cui “tutto” ebbe inizio nel 2009. Lui la mente, lei l’immagine.
Esaurita la love story, i due chiuderanno i rapporti lavorativi solo nel 2019. E li chiuderanno malissimo per ragioni di quattrini. Oggi Pozzoli fa il founder di start up e il capoccia del Marketing in Luxottica, lei la sghemba eco di ciò che ha cercato di imparare dall’ex. Per altro circondata da collaboratori “signorasì” che la supportano in ogni boiata, indefessamente. Anche da questo nascono orrori come la lettera alla se stessa bambina dello scorso Sanremo.
Chiara Ferragni non è sinonimo di vendite prosperose
Chiara Ferragni è la regina delle influencer. E quindi anche dell’influencer marketing. L’influencer marketing è una bolla. Qualcosa che ha più a che fare con la nebbia che con una scienza esatta, matematica. Lo dimostrano, per fare un esempio recente e attuale, le onerose giacenze dei 362mila pandori Balocco “Pink Christmas” 2022 messi in commercio. Questo è quanto afferma l’accurata disanima dell’Antitrust, mentre su Twitter (pardon, X!) girano grafici sui numeri “gonfiati” del seguito Instagram di Chiara Ferragni.
Quando l’unica vera “impression” è che la maggior parte delle persone che la segue, lo faccia per andare a caccia di meme e sbeffeggiarla con gli amici dell’internet. Quanti saranno davvero quelli che credono alla “favolosa Chiara Ferragni”? Pochi, a quanto pare. E pure poco spendenti. Chiunque si sia mai ritrovato nella vita a lavorare per una qualsiasi sciagurata agenzia di comunicazione, ha dovuto fare i conti con i report da sottoporre al cliente di turno. Per dimostrare l’efficacia dell’attività commerciale, da svariate migliaia di euro, con l’influencer blasonato “che ci ha messo la faccia”, il nostro sventurato ha dovuto per forza di cose accorpare numeri mirabolanti.
Numeri mirabolanti veri e sinceri quanto l’intera serie The Ferragnez in cui la nostra si racconta imprenditrice di se stessa, mostra con orgoglio quanto in alto possa arrivare una donna con le sue sole forze (congiunte a quelle di mamma e papà, ma non lo dice) e altri fantasiosi balocchi per allocchi. L’affaire pandoro, complici le imminenti festività, Sanremo e il fatto che gli italiani abbiano, da sempre, memoria cortissima, non darà reali pensieri a Chiara Ferragni per più di una settimana o due. La speranza, invece, è che ne dia ai suoi follower. Accadrà? No. Perché, parafrasando uno storico verso della Poetessa Wanna Marchi, “gli stupidoni vanno infinocchiati”. Amen.