Perché questo articolo potrebbe interessarti? Si è votato nei Paesi Bassi e il leader dell’ultradestra Wilders ha conquistato la maggioranza relativa dei seggi. Plausi anche dal centrodestra italiano, che appaiono però quanto meno prematuri: l’avanzata del Pvv potrebbe rappresentare una pessima notizia per il governo di Roma
L’esito del voto nei Paesi Bassi rappresenta un vero e proprio tsunami politico. Nessuno alla vigilia aveva pronosticato l’exploit di Geert Wilders e del suo Pvv, il partito di estrema destra. Wilders è da quasi due decenni protagonista della politica olandese, famoso sia per le sue posizioni considerate radicali soprattutto sull’immigrazione, sia per essere stato dato più volte come favorito alle elezioni.
Proprio nel momento in cui però il Pvv non aveva dalla sua i favori del pronostico, sono arrivati i risultati più eclatanti. Stando agli ultimi dati, sono 37 i seggi in parlamento conquistati da Wilders a fronte dei 17 che aveva nell’ultima legislatura. Dall’Italia non sono mancate le reazioni. Si passa dallo scetticismo del centrosinistra all’euforia invece di Matteo Salvini, suo alleato in Europa. Le reazioni arrivate dal nostro Paese, stridono però con la realtà dei fatti. Molto probabilmente non cambierà molto sia nella politica dei Paesi Bassi, sia nei rapporti tra Amsterdam e Roma. Il “vizio”, non solo italiano per la verità, di attribuire significati interni alle elezioni che coinvolgono contesti esteri rischia di creare unicamente futuri imbarazzi.
I risultati nei Paesi Bassi
Aumentare di venti deputati il proprio contingente parlamentare vuol dire essere riusciti, nel giro di appena due anni, a convogliare su di sé le simpatie di una vasta fetta di elettorato. È con queste premesse che Wilders, assieme al suo Pvv, adesso rivendica il governo. Ma per il partito dell’ultradestra olandese non sarà affatto semplice sedersi sulla poltrona del capo dell’esecutivo. I parlamentari della Camera Bassa, l’unica elettiva, sono 150. Dunque, per arrivare ad avere una maggioranza, Wilders deve trovare sponde in altri partiti. Servono almeno 76 deputati per formare un governo, ben più dei 37 conquistati dal Pvv.
Di certo, Wilders non potrà formare alcuna alleanza con il secondo partito classificato, ossia la coalizione di Laburisti e Verdi. La lista di centrosinistra, guidata dall’ex commissario Ue Frans Timmermans, ha ottenuto 25 seggi. Uno in più rispetto ai 24 conquistati dal Vvd, la formazione liberale dell’ex premier Rutte. Il suo successore, l’ex ministro della Giustizia Dilan Yeşilgöz-Zegerius, in un primo momento aveva aperto alla possibilità di governare con Wilders salvo poi ritirare questa posizione nell’immediata vigilia del voto.
Alle spalle ci sono poi tutti gli altri partiti minori. I liberali del D66 hanno ottenuto 9 seggi, sono invece 7 i seggi andati al movimento degli agricoltori e 5 ai cristiano democratici. Seguono poi i socialisti e altre liste entrate con uno o due deputati grazie alla soglia di sbarramento molto bassa, di appena lo 0.67% dei consensi, prevista dalla legge elettorale.
Perché in Italia nessuno può gioire
A leggere i risultati dunque, Wilders sembra avere poche chance di andare al governo. È più probabile invece una maxi coalizione di liberali, conservatori, laburisti e centristi, un vero e proprio blocco unitario volto a costringere il Pvv all’opposizione. Per giungere a un nuovo esecutivo serviranno comunque molti mesi di consultazioni, al termine delle quali non è escluso un nuovo ricorso alle urne.
I commenti fatti in Italia, soprattutto in ambito politico, appaiono per questo quanto meno prematuri. Impossibile parlare di vittoria dell’ultradestra, non avendo questa parte politica grosse chance di guidare effettivamente un esecutivo. Se a sinistra quindi si sbaglia a parlare di un futuro governo olandese euroscettico, a destra appare azzardato brindare al successo. Matteo Salvini, leader della Lega e alleato a Strasburgo di Wilders, è stato il primo politico italiano a congratularsi con il numero uno del Pvv.
L’applauso rivolto a Wilders però, oltre ad apparire prematuro, potrebbe dar vita a futuri imbarazzi politici. In primo luogo perché, come detto, sembra difficile che il Pvv salga a tutti gli effetti al potere. In secondo luogo perché, ammesso che Wilders riesca a trovare accordi con altri partiti, il suo programma potrebbe non essere in linea con le posizioni dell’attuale governo italiano.
Se con l’uscente Mark Rutte gli ultimi esecutivi di Roma hanno spesso avuto divergenze su migranti ed economia, un eventuale governo Wilders potrebbe avere su questi temi posizioni ancora più rigide. Il Pvv mira ad azzerare gli arrivi irregolari, negli ultimi giorni di campagna elettorale i suoi candidati hanno lanciato slogan sulla necessità di “ridare il Paese agli olandesi”, puntando il dito sulla massiccia presenza di rifugiati anche a proposito dell’emergenza case. Ossia dei problemi, emersi di recente, degli olandesi nel poter acquistare nuove abitazioni. In poche parole, Wilders chiuderebbe del tutto a ogni ipotesi di redistribuzione dei migranti in Europa. Andando così contro la posizione di Roma. Idem sul fronte economico, dove il Pvv ha spesso predicato a favore dell’assoluto rigore sulle regole di bilancio.
Il caso polacco come precedente
Per il centrodestra italiano, e per Salvini in particolar modo, potrebbe ripresentarsi l’analoga situazione vista già nei rapporti tra l’Italia e la Polonia. Il governo di Giorgia Meloni infatti, specialmente sul fronte immigrazione, si è dovuto scontrare proprio con gli esecutivi giudicati politicamente più vicini.
Con il governo del Pis, Varsavia ha imposto più volte il veto su ogni ipotesi di redistribuzione e su ogni riforma del sistema di accoglienza e di asilo. Generando imbarazzi alla stessa Meloni, il cui partito in Europa è alleato del Pis. Paradossalmente, a Palazzo Chigi si è dovuto (seppur a bassissima voce) tifare nelle ultime elezioni polacche a favore del liberale ed europeista Donald Tusk.
Con Wilders eventualmente al governo, Roma avrà una strada ancora più sbarrata su temi molto sentiti. A dimostrazione di come i commenti sul voto altrui, lanciati da una prospettiva marcatamente italiana e lontani dal contesto locale, lasciano il tempo che trovano. E, anzi, a lungo termine potrebbero dar vita a veri e propri cortocircuiti politici.