Perché leggere questo articolo: In Parlamento sempre meno membri della società civile. Pesa il taglio dei parlamentari. Ma anche la caducità dei sistemi di potere odierni
La riduzione da 935 a 600 dei seggi complessivi in Parlamento con l’inizio della XIX Legislatura ha avuto un effetto chiaro nella riduzione strutturale dei posti tra Camera e Senato destinati agli esponenti della società civile. Ovvero a quella congrega eterogenea di figure che vengono dal mondo delle professioni, della rappresentanza sindacale e dal mondo dell’associazionismo passati tramite i partiti alle cariche nei palazzi.
Un trend consolidato ai tempi della Prima Repubblica
Nella Prima Repubblica, tempo di grandi passioni ideologiche, il fronte trasversale delle associazioni andava di pari passo col mondo politico di riferimento. Non si contano, ad esempio, le figure emerse nel mondo democristiano da movimenti come l’Azione Cattolica e le Acli. Molti dei quali divenuti grandi esponenti istituzionali: tra questi si nota la figura di Tina Anselmi, passata nel 1978 nel governo Andreotti come primo ministro donna della storia repubblicana, e Vittorio Prodi, presidente dell’Azione Cattolica e poi parlamentare.
Giovanni Bianchi e Franco Marini furono esponenti delle Acli eletti con i democristiani e (il secondo) anche col centrosinistra in Parlamento. Marini arrivò nel 2013 a un passo dalla Presidenza della Repubblica, “impallinato” dai franchi tiratori del centrosinistra. Tra i comunisti, non dimentichiamo che il volto simbolo di Rifondazione, Fausto Bertinotti, veniva dal mondo sindacale. E prima di lui, tra i segretari della Cgil Luciano Lama fu senatore, mentre Antonio Pizzinato lo seguì ai tempi dei primi governi Prodi come sottosegretario al Lavoro. Dalla “società civile” pescarono anche socialisti e missini, portando in parlamento diversi quadri dei sindacati Uil e Cisnal. Mentre il Partito Repubblicano portò addirittura un giornalista come Giovanni Spadolini al ruolo di presidente del Consiglio, il primo non democristiano della storia d’Italia.
Il declino e la situazione attuale del rapporto Parlamento-società civile
Non c’era, ai tempi, soluzione di continuità tra sfera politica e mondo dell’associazionismo, delle realtà territoriali, della società civile. Il chiaro e mutuo riconoscimento ideologico lo confermava. Negli Anni Novanta, sull’onda di Mani Pulite, la fine della Repubblica dei partiti e l’ascesa di nuove formazioni, come Forza Italia, incanalò nei partiti di centrodestra imprenditori, professionisti, manager, con alcuni ritorni di fiamma (l’ex sindacalista socialista Fabrizio Cicchitto e l’economista Giulio Tremonti, ad esempio). Mentre nel centrosinistra il rapporto tra magistrati e partiti fu più forte.
Molte poche le rappresentanze della società civile che riuscirono a mantenere una forte presa sul mondo parlamentare: essenzialmente, a spiccare per rete e sistema furono, in casa centrosinistra, l’immancabile Cgil in quota progressista e la sempre più influente Comunità di Sant’Egidio in campo cattolico. Arrivata, quest’ultima, a piazzare un suo membro organico, Mario Giro, e un suo simpatizzante, Lapo Pistelli, come viceministri degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni. Mentre da Gugliemo Epifani a Susanna Camusso per gli ex segretari si preparava spesso una poltrona parlamentare coi dem.
Le ultime due legislature: i “civili” in Parlamento
Nella XVIII Legislatura il boom del Movimento Cinque Stelle e della Lega ha dato una spallata notevole alla rappresentanza, dato che i due partiti non avevano nelle tradizionali nicchie di riferimento di questi mondi associativi di società civile un bacino politico per “pescare” gli eletti.
Qualche novità, invero, c’è stata. La Lega di Matteo Salvini ha eletto in parlamento l’ex capo del Sindacato Autonomo di Polizia Gianni Tonelli e il catto-conservatore Simone Pillon del movimento Family Day. In Parlamento col Carroccio anche l’ex segretario generale dell’Ugl Claudio Durigion, sottosegretario al Lavoro nell’attuale governo Meloni. Da Legambiente al Parlamento, con Liberi e Uguali, Rossella Muroni, già presidente di Legambiente e col Pd l’ex responsabile organizzativa della Cgil Carla Cantone.
Insomma una rappresentanza parcellizzata e pulviscolare che poco lascia intendere dell’antico, organico rapporto tra legislature e mondo civico. Oggi ridotta essenzialmente a un rapporto personale di singoli o alla chiamata nei partiti di figure di riferimento affini ai propri ideali. La XIX Legislatura conferma questo trend.
Certo, c’è chi mantiene sempre la bandiera pronta a garrire sul Parlamento: il Pd nel 2022 ha eletto Paolo Ciani, esponente di Sant’Egidio di orientamento pacifista, e l’ex segretario Cgil Susanna Camusso. Per il resto, il ricambio fa riferimento a dinamiche personali di singole figure. L’ex presidente di Confapi, Maurizio Casaco, ad esempio, è stato eletto con Forza Italia al collegio uninominale di Brescia. In Fratelli d’Italia sono entrati Lorenzo Malagola, segretario della Fondazione De Gasperi, e con Coraggio Italia Martina Semenzato, già presidente Sezione Vetro di Confindustria Veneto. Nota la figura di Aboubakar Soumahoro, già sindacalista di base dei braccianti eletto, senza fortuna personale, nell’Alleanza Verdi-Sinistra.
Un rapporto logoro?
Difficile trovare grandi agende e alleanze politiche tra sistemi in un mondo ove i poteri nascono e declinano con grande velocità. Difficile dire, ad esempio, se Fdi saprà radicarsi nella società civile laddove non sono riusciti, ad esempio, Lega e M5S dopo il boom. Ma il taglio dei Parlamentari, con ogni probabilità, accelererà un distacco tra “pesca” nella società civile e sistemi d’elezione parlamentari.
Andrea Sarubbi, deputato Pd nella legislatura 2008-2013, dichiarò alla testata capitolina Roma Sette prima del referendum sul taglio dei parlamentari del 2020, che non a caso dall’Arci alle Acli vedeva molte associazioni contrarie, che la riforma avrebbe ridotto gli spazi alla società civile in Parlamento. “Purtroppo – notava Sarubbi – in Parlamento si entra (e si resta) per cerchi concentrici: prima i leader, poi le persone più vicini ai leader stessi, poi i fedeli al partito, quindi i cosiddetti battitori liberi. Quelli che il Pci di una volta chiamava gli indipendenti di sinistra e che rappresentavano un valore aggiunto. Oggi sono gli esponenti della società civile“, i cui spazi appaiono centellinati e “personalizzati” più che facenti riferimento a schemi concreti. Mentre la centralizzazione del controllo delle liste nelle segreterie favorisce l’idea del partito personalistico, con i “follower” del leader di turno preferiti alle figure autonome di visione più sistemica.