Sostegno incondizionato al governo Draghi – entrato in carica il giorno prima – e volontà di ricostruire una coalizione di centro-sinistra ampia e partecipata, da lui stesso ribattezzata “Campo largo”. Su questi due pilastri, il 14 marzo 2021, Enrico Letta aveva costruito il proprio discorso di insediamento al Nazareno, dove era stato chiamato da più parti a sostituire il dimissionario Nicola Zingaretti alla guida del Partito Democratico. 860 voti favorevoli all’ex premier, 4 astenuti e appena 2 i contrari: quel giorno l’Assemblea del partito aveva allestito un autentico plebiscito per l’ex premier di ritorno.
Letta un anno dopo: poche luci e molte ombre
Esattamente un anno dopo, il bilancio della segreteria Letta, che nel frattempo nell’ottobre scorso è tornato a sedersi alla Camera ereditando il seggio di Piercarlo Padoan, appare segnato da poche luci e molte ombre. A partire dal suo progetto di allargamento della coalizione di centro-sinistra che pare perdere pezzi più che conquistarne di nuovi.
Se la partita del Quirinale ha finito per premiare la sua tecnica attendista (consapevole di non avere i numeri, si è accontentato di veder bruciare uno dopo l’altro i nomi proposti dall’autoproclamatosi kingmaker Matteo Salvini), la stessa strategia “dell’opossum” non sembra dare i frutti sperati nel rimontare il gap con il centrodestra. Nonostante i sondaggi vedano il Pd in leggera ma graduale ripresa, le proiezioni riguardanti il principale alleato – un Movimento 5 Stelle sempre più lacerato dalle lotte intestine – non fanno ben sperare di fronte a un’alleanza Lega-FdI che, anche se uscita malconcia dal gioco del Colle, resta ancora saldamente maggioritaria nel Paese.
Letta: una posizione tutt’altro che invidiabile
Va detto che la posizione del segretario dem è tutt’altro che invidiabile: appiattito sulle posizioni del premier in nome di una responsabilità istituzionale che ha di fatto visto il partito in maggioranza per dieci degli ultimi undici anni, il Pd si trova di fatto tra due fuochi. Da una parte un M5s ormai senza una guida certa e sempre più “partito contenitore” ma, volenti o nolenti, unico interlocutore di peso del polo cosiddetto progressista; dall’altra tutta la galassia di partiti e partitini (da Italia Viva ad Azione, passando per +Europa) che spingono per la creazione di un’area moderata, strizzando nemmeno troppo velatamente l’occhio ai delusi di Forza Italia. Al centro, appunto, un leader debole che in un anno non è ancora riuscito a cementare attorno a sé il partito. Partito in cui – come ha provato egli stesso sulla propria pelle nel 2014 con l’ormai famigerato “Enrico stai sereno” di renziana memoria – le pugnalate alle spalle sono tutt’altro che da escludere.
Pd: bene le ultime Amministrative, ma la vera partita sono le Politiche 2023
A livello elettorale la sua unica prova finora sono state le amministrative d’autunno in cui il Pd ha mantenuto il controllo di Milano e conquistato Roma, Napoli e Torino. Ma la vera partita, inutile girarci intorno, sono le politiche del 2023 (colpi di mano interni alla maggioranza permettendo). Ed è in vista di queste che Letta spera di raccogliere un consenso sufficientemente ampio da procedere alla revisione della legge elettorale. Lo spauracchio dei collegi uninominali che potrebbero consegnare all’accoppiata Salvini-Meloni la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento si fa sentire e il segretario dem intende correre ai ripari prima che sia troppo tardi. Come per la partita quirinalizia, però, la strategia per ora sembra quella dell’attesa.
Insomma, lo spazio di manovra – tra la fiducia incondizionata a Draghi e una risicatissima libertà di movimento in materia di alleanze – non abbonda ma Letta non spicca certo per attivismo. La mancata ratifica tramite primarie, tradizione ormai consolidata nel Pd, sembra poi privarlo della spinta propulsiva di cui negli anni hanno goduto – almeno inizialmente – Veltroni, Bersani, Renzi e lo stesso Zingaretti. L’impressione, dalle parti del Nazareno, è che Letta sia l’ennesimo leader di passaggio di un partito alla ricerca eterna di una guida (e di un’identità) e i più maligni sottolineano come la quantità di notabili che un anno fa l’hanno tirato per la giacchetta per fargli ingoiare il rospo non deponga a favore della buona riuscita dell’operazione.
Se di traghettatore si tratta, però, non si vedono all’orizzonte nocchieri in grado di ereditare la guida della nave.