Camminando per le strade di Seoul si respira un’aria frizzante. La Corea del Sud si sta ritagliando uno spazio globale sempre più importante, non solo nella cultura di massa e nella tecnologia, ma anche nello scacchiere geopolitico internazionale. Dietro ai vari K-Pop, K-Drama e K-Beauty, giusto per citare alcune tra le più famose tendenze made in Korea, si intravede la consapevolezza di un attore pronto ad assumersi parte della responsabilità del futuro asiatico. Visto dall’interno, inoltre, sembra quasi che questo Paese sia in procinto di ripetere l’exploit messo in scena dal Giappone a cavallo degli anni ’80, quando qualsiasi tendenza proveniente da Tokyo registrava un successo senza precedenti. E poco importa se i sudcoreani sono ancora tecnicamente in guerra con la Corea del Nord, e che Seoul disti circa 70 chilometri dal famigerato confine demilitarizzato, linea di confine che separa il regno di Kim dalla Corea del Sud.
Il “ruolo” della Corea del Sud
Il nuovo presidente sudcoreano, il conservatore Yoon Suk Yeol, ha impresso un nuovo corso al modus operandi politico del Paese. Sono finiti i tempi del dialogo vis a vis con Kim Jong Un avanzati dal democratico Moon Jae In. Yoon ha subito fatto capire di essere sì disposto a trattare con il Nord, ma soltanto a determinate condizioni, previa la denuclearizzazione di Pyongyang e la cessazione di ogni provocazione. La temperatura si è ulteriormente riscaldata quando il neo capo militare sudcoreano, il generale Kim Seung Kyum, ha dichiarato che le forze missilistiche di Seoul sono in grado di assestare un colpo fatale ad un potenziale nemico. Queste parole non sono per niente piaciute ai nordcoreani, pronti, pare, ad effettuare un il loro settimo test nucleare della storia.
È qui che entrano in gioco gli Stati Uniti che, dal termine della guerra di Corea (1950-1953), hanno aperto un ombrello difensivo sulla Corea del Sud. Seoul è oggi uno dei partner più affidabili di Washington in Asia. Non è un caso che nei pressi dell’ambasciata statunitense, a due passi dal palazzo Gyeongbokgung, appaiano talvolta diversi manifesti per richiamare l’alleanza militare con gli Usa che ha plasmato gli ultimi decenni del Paese. Allo stesso tempo, le autorità devono monitorare con attenzione che le altrettante numerose manifestazioni di protesta si svolgano senza incidenti. In ogni caso, gli Stati Uniti hanno lasciato intendere, qualora Kim dovesse testare un ordigno nucleare, di essere potenzialmente pronti a dispiegare risorse strategiche nella regione (leggi: armi nucleari tattiche). La Corea del Sud potrebbe essere un’opzione, seppur rischiosa per le plausibili reazioni di Cina e Corea del Nord.
Vento in poppa
Ma la Corea del Nord non dà l’impressione di essere il primo problema di Seoul. La Corea del Sud si trova infatti in una posizione geografica delicatissima. Il Paese, infatti, si trova esattamente a metà strada tra la Cina e il Giappone. Con Pechino i rapporti sono ambigui. Va bene l’alleanza con gli Stati Uniti, pensata da Washington anche per mettere pressione sul gigante asiatico, ma guai a trascurare il termometro economico. Il governo sudcoreano ha infatti identificato il recente rallentamento del commercio con la Cina come un grave rischio. Seoul ha così promesso di rafforzare la cooperazione economica con il suo vicino. E lo ha fatto dopo aver registrato un disavanzo commerciale pari a 9,47 miliardi di dollari, la cifra più alta dall’inizio dei record nel 1956.
Le esportazioni sudcoreane verso la Cina hanno raggiunto un valore di 13,1 miliardi di dollari ad agosto. Si tratta del 5,4% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Urge quindi invertire la tendenza adottando grandi dosi di pragmatismo, stando attenti a non rompere il fragile equilibrio delle alleanze geopolitiche. Anche perché sul fronte orientale la Corea deve fare i conti con il Giappone, con il quale permangono rivalità storiche ancora non del tutto assorbite. Al netto di qualche nodo spinoso, la Corea del Sud vuole sfruttare al massimo il vento in poppa per fare il grande salto. Un salto che certificherebbe, nuovamente, l’importanza globale del Paese.