Dal 24 al 29 luglio Papa Francesco è impegnato in un viaggio apostolico in Canada. Organizzato specificatamente per incontrare le popolazioni native e mettere in discussione il rapporto tra la Chiesa e le civiltà colonizzate. “Walking together” è il nome dato a questo viaggio, necessario affinché l’istituzione cristiana si assumesse la responsabilità dei crimini perpetuati ma che ha fatto discutere soprattutto tra le persone native.
Le scuse del Papa in Canada
Lunedì 25 luglio, durante l’incontro con le popolazioni indigene First Nations, Métis e Inuit a Maskwacis (Alberta), Papa Francesco si è scusato per gli abusi commessi dalla Chiesa tra Ottocento e Novecento sul suolo canadese. Tali violenze sono state esercitate specificatamente verso le persone native fino a diventare un vero e proprio genocidio culturale.
Nel suo discorso, pronunciato in spagnolo, il Papa ha chiesto “perdono per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni. Sono addolorato. Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali”.
Il sistema delle Indian Residential Schools
Il nodo centrale del “viaggio di guarigione” del Papa in Canada riguarda infatti le Indian Residental Schools, anche dette scuole residenziali. Il fenomeno è stato affrontato con maggior vigore dall’estate 2021, quando sono state ritrovate centinaia di tombe anonime all’interno di fosse comuni situate vicino ad alcuni di questi istituti.
La colonizzazione delle popolazioni native del Canada è avvenuta in gran parte secondo il principio dell’assimilazione culturale. Forzare le persone indigene ad abbandonare usi e costumi propri per accettare i canoni europei. Fondamentali per sostenere questo processo sono state le scuole residenziali, attive dalla fine dell’Ottocento alla fine degli anni ’90.
Assimilazione forzata e abusi
I bambini e le bambine venivano spesso allontanati con forza dalle famiglie per far parte di tali scuole, gestite dalla Chiesa cattolica. Dovevano convertirsi al cristianesimo, non potevano parlare la propria lingua, erano tenuti in condizioni igieniche estremamente precarie e subivano diversi tipi di abusi. Le Indian Residential Schools furono 132 e non si conosce il numero preciso delle persone native coinvolte. Si parla di migliaia di bambini morti per malnutrizione e suicidio. La Truth and Reconciliation Commission ne ha ricostruito il fenomeno in un report pubblicato nel 2015 e basato sulla testimonianza di 6750 persone.
Lo Stato canadese ha riconosciuto il genocidio culturale delle popolazioni indigene almeno fin dal 2008, quando vennero annunciate le scuse pubbliche dell’allora primo ministro Stephen Harper. Fino a prima del viaggio di Papa Francesco, l’argomento non era mai stato affrontato dalla Chiesa in modo ufficiale.
La reazione delle persone native
La popolazione indigena ha reagito in modo variegato alle parole e al viaggio del Papa in Canda. Cassidy Caron, presidente del Métis National Council, sostiene che “le scuse del Papa sono un passo avanti lungo il percorso verso la verità, la giustizia, la guarigione e la riconciliazione. Noi continueremo a spingere la Chiesa a riflettere e a fare ammenda per il ruolo della sua dottrina nel giustificare dei sistemi coloniali come le scuole residenziali. E continueremo a lavorare a stretto contatto con i First Nations e gli Inuit per assicurarci che tutti i passi successivi del nostro viaggio collettivo siano guidati dalle persone survivor e contribuiscano a un cambiamento significativo e duraturo”.
Cindy Woodhouse di Assembly of First Nations (AFN) ricorda che “le scuse del Papa sono un momento storico che riconosce il dolore causato dalle scuole residenziali e dalla Chiesa cattolica ai bambini e alle famiglie First Nation. Ogni survivor sceglierà come sentirsi nei confronti di queste scuse”.
Le critiche
Non sono mancate però le critiche rivolte agli scarsi gesti concreti del Papa in Canada. Il tutto accompagnato dalla delusione di vederlo indossare un copricapo tradizionale, che gli è però stato donato da un survivor delle scuole residenziali. Tra gli aspetti che generano tensione ci sono 30 milioni di dollari concordati come risarcimento della Chiesa verso le popolazioni indigene e mai stanziati.
Cornell McLean di Assembly of Manitoba Chiefs sottolinea infatti che “chiedere scusa non dà sollievo al dolore dei bambini scomparsi che non torneranno mai a casa. In ogni caso incoraggiamo la Chiesa a continuare nello spirito della riconciliazione per stringere un impegno concreto e realizzare nel futuro una vera riparazione”.
Il trauma dei nativi secondo gli studiosi
L’impatto dell’assimilazione culturale imposta alle persone native? Lo spiega Marcello Maviglia, psichiatra e autore de Il “trauma storico” dei Nativi Americani: sofferenza e rinascita. “Premetto che tra i responsabili non c’è solo la chiesa cattolica ma anche tutte le chiese protestanti sul territorio americano. Storicamente le chiese si sono mosse per convertire i nativi americani e questo non si è fermato nemmeno dopo l’esperienza delle boarding school. Questi istituti e il processo di colonizzazione, coadiuvato dalle religioni hanno contribuito allo sviluppo del trauma storico. L’accumulo del disagio psicologico derivante dal processo di colonizzazione delle Americhe.
All’interno di questi istituti avvenivano varie violenze tra cui negazione dell’identità di bambini nativi, separazione quasi totale dalle famiglie d’origine. Roxanne Dunbar-Ortiz, scrittrice e storica, sostiene che la storia degli USA – ma lo stesso vale per il Canada – non può essere compresa senza considerare il genocidio delle popolazioni indigene. “La religione oggi se continua a puntare sulla conversione dei nativi alimenta e risveglia l’impatto del trauma storico. Se tuttavia affronta la realtà storica dei nativi e riconosce le proprie colpe, c’è spazio per rielaborare il trauma”.
Un nuovo rapporto tra Vaticano e popolazioni colonizzate
Come sta cambiando il rapporto tra Vaticano e popolazioni colonizzate? Risponde Cristina Simonelli, teologa e componente del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI). “Si sta trasformando a livello ufficiale, cioè con i gesti eclatanti in Canada di papa Francesco. E questo è un aspetto interessante ma anche problematico: fino a quanto riusciamo a estenderlo alla Chiesa tutta? Alla base c’è un sistema di dominio che viene addirittura sostenuto sulla base di elementi religiosi. Un versetto biblico o l’idea della carità”, che tra l’altro è citata nelle scuse del Papa come elemento presente nonostante gli abusi.
Continua Simonelli: “La riconciliazione prevede di porre sotto la lente anche il modello di dominio e scioglierlo. Altrimenti rischia di diventare la norma e vincolante. Sono decenni che gli ambienti missionari hanno criticato questi metodi. Oltre alle scuse, è il momento di cambiare i modelli e agire su quelli. Altrimenti restano discorsi importanti ma simbolici. È inoltre fondamentale agire sul livello intermedio: tutti quelli e quelle che agendo in questo modo sono convinti di fare del bene. È un comportamento frutto di modelli culturali e di disuguaglianze sociali”.
Desiderio di riconciliazione
Il teologo Andrea Grillo aggiunge infatti che il viaggio del Papa esprime “il desiderio di riconciliazione; di fronte a comportamenti in cui, in un passato che ha coperto quasi tutto il XIX e XX secolo, la Chiesa cattolica ha collaborato pesantemente a politiche di emarginazione, di abuso e di oppressione verso popolazioni indigene del Canada. Queste pratiche hanno lasciato una “tradizione” che occorre risanare. L’eredità di una cultura della “superiorità” di alcuni popoli rispetto ad altri è stata lungamente condivisa anche dalla Chiesa cattolica.