Perché questo articolo dovrebbe interessarti: l’imminente manovra richiede al Governo Meloni di attingere a tutte le risorse possibili, ma il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin spera di tenere ancora congelata la Plastic Tax, parcheggiata dal 2020. Una misura invisa all’influente settore del packaging, ma non solo. E che tuttavia garantirebbe alle casse dello Stato circa 300 milioni di euro l’anno.
“Non se ne parla. Ogni euro serve”. Così – riporta oggi il Corriere – Giancarlo Giorgetti avrebbe perentoriamente risposto al collega Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente che starebbe provando a congelare di nuovo l’introduzione della Plastic Tax, attualmente prevista per l’1 gennaio 2024. Il ministro dell’Economia prevede da quella voce introiti per 500 milioni: con una manovra da 8,5 miliardi (ma i partiti hanno avanzato richieste per 40 miliardi) da varare, risorse imprescindibili. Anche perchè, secondo un report di Greenpeace, la mancata entrata in vigore della Plastic Tax – teoricamente introdotta con la legge di bilancio del 2020 – è già costata alle casse dello Stato 1,2 miliardi di euro. Ma cos’è esattamente la “tassa sulla plastica”? E perchè in Italia ci sono così forti resistenze ad adottarla? Andiamo con ordine.
La Plastic Tax europea e quella italiana (mai entrata in vigore)
La Plastic Tax è la tassa sul consumo di manufatti in plastica monouso impiegati per l’imballaggio delle merci e dei prodotti alimentari. La cornice è quella tracciata dalla campagna delle Nazioni Unite #BeatPlasticPollution che mira ad abbattere l’inquinamento da plastica rendendo i Paesi responsabili dell’intero ciclo di vita della plastica, dalla produzione allo smaltimento, fino al riciclo o al riutilizzo. Un impegno che l’Unione Europea ha preso sul serio. Tanto che dal 2022 è già entrata in vigore una Plastic Tax europea che prevede un contributo da 0,80 euro per ogni chilo di rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati da ogni Paese membro.
Quanto costa la Plastic tax europea all’Italia? Ci arriviamo: l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha pubblicato un report relativo al 2021 in cui si evidenza che l’Italia ha prodotto o importato imballaggi per un peso complessivo di 14,4 milioni di tonnellate, dato in aumento dell’8,5 per cento rispetto all’anno precedente. Di questi 14,4 milioni di tonnellate, solo 10,5 milioni sono stati riciclati. Il recupero di imballaggi in Italia si attesta all’82%. Ed in questa quota il 96% della plastica è effettivamente riciclato. Percentuali che possono apparire alte. E lo sono. Ma il residuo che finisce di fatto in discarica equivale comunque ad oltre mille tonnellate di plastica. Questo è quanto l’Europa ora tassa. A 0,80 euro al chilo, si viaggia oltre i 760 milioni di euro l’anno. Con un trend in costante crescita del volume di imballaggi prodotti.
La Plastic Tax che aveva elaborato il primo governo Conte prevedeva una tassazione di 0,45 euro per ogni chilogrammo di prodotti in plastica monouso venduti (la versione originaria era addirittura di 1 euro per chilogrammo). Da qui la stima fatta da Greenpeace di circa 300 milioni all’anno di mancati introiti. Già, perchè le industrie del settore – ovvero coloro che questa tassa dovrebbero pagarla – hanno fortemente osteggiato, sinora con successo, il varo effettivo della manovra preferendo spingere sull’aumento delle performance del riciclo.
Quali imprese va a colpire la Plastic Tax
Di quali imprese stiamo parlando? La Plastic Tax italiana, nella sua attuale formulazione, mira a disincentivare la produzione di confezioni, flaconi, buste, contenitori usa e getta in plastica. E a ridurre i rifiuti da imballaggio generati in bar e ristoranti, come ad esempio le bustine dello zucchero per il caffè o le confezioni dei grissini, ma anche i bicchierini di plastica e le bustine degli snack dei distributori automatici. Ma nel mirino ci sono anche gli involucri del cibo a domicilio. A livello europeo, i Paesi leader nella realizzazione di questi prodotti sono Germania e Italia. Nel nostro Paese il settore del packaging vale nel suo complesso un giro di affari di oltre sette miliardi di euro. Le aziende interessate dalla Plastic tax sono quelle che operano con due specifici codici Ateco: quelle del settore della fabbricazione di materie plastiche in forme primarie e della fabbricazione di imballaggi in materie plastiche. Secondo l’Istat (dati relativi al 2020) 310 imprese per 13mila addetti nel primo settore e 1.400 imprese con 31mila addetti nel secondo.
Packaging: le principali imprese sono tutte in Lombardia
Abbiamo parlato di Italia leader a livello europeo. Dovremmo in realtà dire: Lombardia. Qui è infatti la maggior parte delle principali aziende, in termini di fatturato. Guardando ai dati del 2021, le dieci aziende top nella fabbricazione di imballaggi in materie plastiche sono Sealed Air, Goglio spa, Greif Italy, Serioplast Italy, Ilip srl, Faerch Italy, Sititalia spa, Lumson spa, Cellografica Gerosa e Deriblok. Otto lombarde, una emiliana, una marchigiana. Per quanto riguarda la fabbricazione di materie plastiche in forme primarie, le dieci realtà più grandi sono Basell Poliolefine, Solvay Specialty Polymers Italy, Covestro, Coim spa, Arkema, Ravago Italia, Vinavil, Sadepan Chimica, Celanese Production Italy e Fa.In.Plast. Anche qui: otto lombarde, una emiliana, una marchigiana.
Confindustria contro la Plastic Tax: “Doppia imposizione alle imprese”
A sostegno dei (legittimi) interessi di queste realtà, si era sin dal 2019 nettamente schierata Confindustria, che con una nota aveva espresso forte contrarietà per una misura che “non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti, e rappresenta unicamente un’imposizione diretta a recuperare risorse ponendo ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese. Le imprese già oggi pagano il contributo ambientale Conai per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica per 450 milioni di euro all’anno, 350 dei quali vengono versati ai Comuni per garantire la raccolta differenziata”. L’introduzione della Plastic Tax era stata interpretata come “una sorta di doppia imposizione e, come tale, sarebbe ingiustificata sia sotto il profilo ambientale che economico e sociale”. Comprensibilmente sulla stessa lunghezza d’onda Unionplast: “La plastic tax rischia di affossare ulteriormente la competitività di un settore di eccellenza che sta già intraprendendo una transizione verso soluzioni più sostenibili”.
Plastic Tax, la Cgil: “Usare la testa e non la pancia”
Meno scontata la presa di posizione contraria alla Plastic Tax espressa a suo tempo da Filctem Cgil, schierata a favore dell’industria della trasformazione delle materie plastiche e preoccupata per gli effetti che avrebbe una tassa aggiuntiva sul futuro di 50mila lavoratori: “Non si tratta di difendere gli interessi di un settore ma di evitare un disastro dal punto di vista sociale e produttivo. Il Governo deve dotarsi di una seria politica industriale, basta seguire istinti ed emotività – aveva dichiarato il segretario generale Marco Falcinelli – Vogliamo un pianeta migliore dal punto di vista ambientale e la nostra categoria è in prima linea nel rivendicare dalle imprese investimenti per rendere le produzioni più sostenibili, ma siamo in un momento di forte transizione che va governata usando la testa e non la pancia. Non si può pensare di fare cassa sulla pelle dei lavoratori”.
Contraria anche Federconsumatori, il cui Osservatorio aveva messo in guardia su un possibile rischio: che le imprese produttrici possano semplicemente scaricare il costo della tassa sul consumatore aumentando i prezzi finali. L’associazione aveva addirittura azzardato una stima: “Ogni famiglia dovrà far fronte ad una maggiorazione della spesa di 138,77 euro annui”.
Insomma, un fronte piuttosto eterogeneo, che può contare su una sponda decisamente autorevole al Governo, ovvero lo stesso ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin. Chi la spunterà alla fine tra lui e Giorgetti?