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PMA, la procreazione medicalmente assistita in Italia è una giungla

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Perché leggere questo articolo? Poche settimane fa la procreazione medicalmente assistita (PMA) è tornata tra le pagine di cronaca. Si discute del possibile accesso a questo percorso per le donne single. Al momento la legge 40/2004 vieta questa possibilità. Ma un caso recente porterà la Corte costituzionale a esprimersi a riguardo. Abbiamo affrontato gli aspetti tecnici con Filomena Gallo, avvocata dell’associazione Luca Coscioni. Ma la PMA ha anche degli impatti psicologici: ce lo hanno raccontato le volontarie di Mama Chat attraverso la loro esperienza di supporto psicologico.

In Italia sono in aumento le famiglie monogenitoriali: famiglie in cui è un solo genitore a prendersi cura di uno o più figli. Cosa significa essere genitore solo e in particolare essere una donna che affronta questa situazione? In più come può realizzarsi il desiderio di genitorialità per una donna single? Se all’estero anche le donne single possono avere accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA) non è lo stesso in Italia. Nel nostro Paese infatti – secondo la legge 40/2004 – coppie omosessuali e persone single non possono ancora intraprendere questi percorsi. Ma qualcosa potrebbe muoversi in una nuova direzione.

Il caso Evita: le donne single e la PMA in Italia

Se in Italia è complesso accedere a dei percorsi di procreazione medicalmente assistita (PMA) per le coppie – a causa di lunghe liste d’attesa e per i costi – per le persone singole non è proprio consentito. Ma nelle scorse settimane si è tornati a parlare di queste limitazioni. Tutto parte dal Tribunale di Firenze che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale nell’ambito di un procedimento portato avanti da Evita, una donna single 40enne di Torino.

“Evita ha chiesto a un centro di PMA italiano di poter accedere alla fecondazione eterologa. Il centro ha rifiutato (in base all’articolo 5 della legge 40 che permette solo a “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”)”, spiega a True News Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni e coordinatrice del team legale. “Evita ha sostenuto che questo rifiuto viola i suoi diritti all’uguaglianza, alla libertà, alla salute – principi stabiliti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU): il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto alla integrità fisica e psichica, l’autodeterminazione, il diritto alla scelta e alla costituzione del proprio modello di famiglia”, precisa Gallo.

Su questa vicenda la giudice ha rimesso la questione alla Consulta, ritenendo che ci siano sufficienti motivi per dubitare della legittimità dell’articolo 5 della legge 40, che consente l’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita esclusivamente alle coppie di sesso diverso e non anche alle persone singole. Bisogna sottolineare che in diversi Paesi europei le tecniche di fecondazione assistita sono accessibili anche a donne singole. Ciò rende evidente l’irragionevolezza di limitazioni e divieti che possono essere aggirati tramite il “turismo procreativo”, ossia accedendo a queste tecniche all’estero.

A vent’anni dalla legge 40: evoluzione e modifiche

Dopo nove anni dall’ultimo intervento di incostituzionalità, la Corte Costituzionale tornerà a esprimersi sulla legge 40 del 2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita (PMA)”, in particolare sull’articolo 5 che vieta l’accesso alle tecniche da parte di persone single. “In questi anni sono stati eliminati moltissimi divieti e la legge 40 è meno ingiusta e discriminatoria rispetto alla sua formulazione originaria”, afferma Gallo.

Nel suo impianto originario la legge restringeva l’accesso alla PMA alle sole coppie eterosessuali (coniugate o in convivenza stabile), stabiliva che non potessero essere prodotti per ogni ciclo più di tre embrioni e che tutti gli embrioni fecondati dovessero essere immediatamente impiantati. La legge limitava inoltre la ricerca sugli embrioni, ne bandiva la crioconservazione e donazione, vietava la fecondazione eterologa (con donazione di sperma o ovociti) e la maternità surrogata.

Una serie di sentenze ha abrogato nel tempo alcune di queste restrizioni perché incostituzionali o in contrasto con altre norme: ad esempio a seguito della sentenza n. 151 del 2009 la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo il divieto di “produzione di embrioni in un numero strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”. Questa modifica ha consentito la produzione di un numero di embrioni strettamente necessario per il caso concreto, e dunque anche più di tre embrioni, e la loro crioconservazione per motivi legati alla salute psico-fisica della donna.

Un quadro legale in continuo cambiamento

In aggiunta, la Corte Costituzionale a giugno 2014 (sentenza della Corte Costituzionale n. 162) ha dichiarato l’illegittimità della norma della legge 40 nella parte in cui si vieta il ricorso a un donatore esterno alla coppia di ovuli e spermatozoi nei casi di infertilità assoluta, ammettendo di fatto la fecondazione eterologa (ossia la tecnica di procreazione medicalmente assistita che richiede l’utilizzo di gameti donati da individui esterni alla coppia). Infine, nel 2015, cadono i divieti relativi alla diagnosi pre-impianto (sentenza della Corte Costituzionale n. 229), riconoscendo il diritto alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche trasmissibili alla prole, di accedere alla Procreazione assistita preceduta dalla tecnica di diagnosi genetica di pre-impianto.

Come racconta l’avvocata Gallo ripercorrendo le varie tappe: “Grazie agli interventi della Corte costituzionale – che ha cancellato alcuni dei divieti che nel 2005 erano stati oggetto di un referendum che non raggiunse il quorum – nascono in Italia circa 14 mila bambini ogni anno che non sarebbero mai nati”. Facendo riferimento agli scenari futuri e alle possibili evoluzioni del caso Evita, è evidente che “Se sarà accolto il dubbio di legittimità costituzionale, il divieto sarà cancellato dalla legge italiana e le donne singole potranno accedere alle tecniche anche qui”, aggiunge Gallo. Questo si rivelerebbe un passo decisivo verso l’affermazione dei diritti riproduttivi delle persone single in Italia.

Il turismo procreativo per la PMA

Andare all’estero per intraprendere un percorso di PMA è una strada molto percorsa anche se questo comporta costi elevati. Ma le legislazioni permissive e la qualità delle cure spingono le persone a orientarsi verso il turismo procreativo.

In Italia, come sottolineato già in precedenza, la PMA per le donne singole è illegale. Quindi, se un’italiana single oggi volesse avere accesso alla PMA si troverebbe costretta a rivolgersi a una clinica all’estero. In questo modo aumentano i costi del percorso e si va ad alimentare il turismo procreativo.

“Questo ovviamente causa una discriminazione economica, perché non tutte possono permetterselo. Ma è anche un danno di altra natura, perché è facile capire che sarebbe molto più facile affrontare un percorso di questo tipo nella propria città, e non essere costrette ad andare in un altro paese”, precisa l’avvocata Gallo. Poi aggiunge: “Al parto in Italia la donna è madre del nato e non può disconoscerlo perché vietato dalla legge 40/04. Il divieto fa emergere un’ipocrisia tutta italiana: ti vieto l’accesso alla tecnica, puoi andare all’estero, ma poi il nato in Italia è legalmente tuo figlio così come previsto per tutti i nati da fecondazione assistita eterologa”.

Per Filomena Gallo e per l’associazione Luca Coscioni – che da anni è in prima linea per abolire i divieti contenuti nella legge 40/2004 – è chiaro che “cancellare il divieto non crea un vuoto normativo, perché le tecniche di PMA eterologhe sono applicate dal 2014 su tutto il territorio nazionale e le tutele per i nati sono previste dalla stessa legge 40”.

Poi ci sono anche dei costi difficili da quantificare. I costi emotivi. In questi casi è di fondamentale importanza intraprendere dei percorsi di supporto psicologico che possano accompagnare le singole persone o la coppia nelle varie fasi della PMA.

L’importanza di un percorso psicoterapeutico prima, durante e dopo la PMA

La legge 40/2004 che regolamenta la PMA prevede l’accompagnamento psicologico per le coppie. “Incertezza, precarietà e tantissimi altri fattori sia personali, sia della coppia, sia delle famiglie d’origine o dei contesti culturali e sociali, tutti intrecciati insieme possono minacciare il benessere psicologico della coppia o dell’individuo. Per questo motivo, essere seguiti sin dall’inizio del percorso di PMA permetterebbe di intercettare il disagio in fase precoce con un intervento tempestivo”, chiarisce Alice Aceto terapeuta esperta dell’area maternità per il progetto Mama Mind. “Purtroppo talvolta non succede. Nel percorso di PMA è fondamentale la sensibilità del personale medico, infermieristico e ostetrico in grado di cogliere i segnali di malessere psicologico” e di indirizzare i pazienti verso delle persone esperte.

Prima di addentrarci nell’importanza del percorso psicoterapeutico correlato alla PMA sono necessarie delle precisazioni sull’associazione Mama Chat. “Mama Chat esiste dal 2017 e nasce come sportello di chat. Siamo stati il primo sportello in Europa di donne che ascoltano le donne. Abbiamo iniziato con delle psicologhe volontarie formate per rispondere alle esigenze che ci venivano poste in chat e poi da quell’esperienza è nata Mama Mind, il centro medico che opera online”, racconta Flavia Risari psicologa, psicoterapeuta e referente dell’area maternità di Mama Mind.

Il focus sulle donne

Come spiega Risari: “Si può usufruire dei servizi online con tariffe calmierate. Il focus è sulle donne. Mama Mind nasce con l’intenzione di essere un luogo sicuro per tutte le donne che hanno necessità di essere ascoltate, supportate e aiutate su diverse tematiche”. Per rispondere alle diverse esigenze delle donne, è stato creato un ampio team di professionisti e professioniste esperti su diverse tematiche riguardanti il benessere psico-fisico femminile. Tra le figure esperte ci sono uno psichiatra, una nutrizionista, un’ostetrica, dei mediatori familiari e una ginecologa.

Nonostante il supporto psicologico sia previsto per legge nei percorsi di PMA, spesso la realtà è diversa. “Su Mama Mind ci capita di accogliere donne – e con donna intendo non il genere ma in sesso biologico – che hanno intrapreso percorsi di PMA ma che non hanno mai ricevuto supporto psicologico, non perché gli sia stato negato, ma semplicemente perché non sapevano di poterne usufruire o non pensavano di doverne usufruire” dice Aceto.

Diversi percorsi e variegate esigenze: l’esperienza di Mama Mind

Alice Aceto terapeuta esperta dell’area maternità di Mama Mind ripercorre varie situazioni che si è trovata ad affrontare nell’ambito della PMA: “Mi capita spesso di accogliere donne che hanno concepito attraverso il percorso di PMA e durante la gravidanza o nel post partum iniziano a manifestare fenomeni di ansia, depressione, malessere psicologico generalizzato, somatizzazioni e persino disturbi da stress post traumatico oppure accogliamo donne che non sono ancora riuscite a concepire. In quest’ultimo caso non è necessariamente la donna a essere infertile, ma ad ogni modo i livelli di stress, ansia e angoscia possono essere altissimi”.

Concepire con la PMA è diverso dal concepire naturalmente. In questo contesto le coppie subiscono delle pressioni che le espongono a potenziali stress. “La coppia viene spinta a mantenere dei ritmi, delle regole, delle modalità precise di analisi mediche che si susseguono. La donna spesso ha la sensazione di essere una macchina difettosa che non riesce a fare quello che dovrebbe e quindi a maggior ragione, se poi il percorso non dà i frutti desiderati, questo impatta notevolmente sull’autostima e sul benessere psicologico”, spiega Aceto che parla anche della gravidanza percepita come una sorta di premio e vissuta con un’angoscia altissima a causa del costante rischio di un’interruzione di gravidanza.

Come si può agevolare la PMA in Italia

In generale, a livello socio-culturale, emerge una scarsa consapevolezza rispetto alle fragilità e difficoltà specifiche del periodo della perinatalità non solo in relazione alle coppie che accedono alla PMA. Risari e Aceto sono d’accordo nell’affermare che “Ogni coppia, ogni persona reagisce in modo diverso e non possono essere fatte delle generalizzazioni”. In conclusione, Risari ci tiene a precisare: “Oggi potrebbero accedere ai servizi, alla psicoterapia, al supporto psicologico molte più persone. Purtroppo negli ospedali e nei centri di procreazione medicalmente assistita spesso non vengono seguite per i più disparati motivi o non chiedono supporto per vergogna o perché non ci pensano. Sarebbe molto utile sdoganare questi atteggiamenti e dinamiche”.