Perché leggere questo articolo? Pnrr e messa a terra, andiamo verso gli anni chiave. La Corte dei Conti fa una radiografia complessa che mostra i problemi chiave. A partire dall’inflazione. Un’indagine a campione mostra che solo il 7% dei fondi è stato “messo a terra”.
Il vero nodo del Pnrr è nella famigerata “messa a terra”. Ovvero nella capacità effettiva di spesa per i fondi allocati e i progetti previsti e cantierati. Lo ha sottolineato la Corte dei Conti in una corposa radiografia sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Da cui si capisce che le amministrazioni, centrali e locali, capiscono l’importanza della sfida e progettano attivamente piani e riforme, affidando i bandi ai soggetti attuatori. Ma il meccanismo, in larga misura, rallenta quando si arriva al nodo del passaggio dall’assegnazione dei fondi alla concreta attuazione dei progetti.
Pnrr e “messa a terra”: non ci siamo
La Corte dei Conti ha analizzato a campione 31 investimenti e riforme che dal 2021 avrebbero avuto la loro naturale scadenza nel 2023. Si va dalla riforma del cloud per le pubbliche amministrazioni, 1 miliardo di euro di valore, alle smart grid energetiche (3,6 miliardi di euro), passando per l’adeguamento antisismico degli ospedali (1,6 miliardi) e lo sblocco delle comunità energetiche (2,2 miliardi), per 35,5 miliardi di euro.
Ebbene, la spesa sinora sostenuta effettivamente è stata di 2,47 miliardi di euro su oltre 35 complessivamente messi in campo, il 7%. Dati che lasciano pensare a un generale trend ribassista sulla capacità del sistema-Paese di governare i prossimi scenari. Il Pnrr sembra non decollare.
Verso il biennio-chiave del Piano
A settembre 2023 secondo Openpolis “gli interventi finanziati, cioè selezionati tramite bandi e procedure di gara, superano i 200mila. Per un ammontare di risorse Pnrr pari a 120,35 miliardi di euro. Si tratta di poco più della metà (63%) dei 190,5 miliardi complessivi assegnati al piano italiano da Bruxelles”. Ebbene, con questo trend di proiezione vorrebbe dire che a essere immessi nell’economia sarebbero stati complessivamente sinora una decina di miliardi. Tutto questo in un contesto che vede, però, il picco di spesa ancora ben al di là dall’arrivare. Gli anni chiave saranno il 2024 e 2025.
Scrive infatti la Corte dei Conti nella sua relazione sul Pnrr, in termini di risorse da attivare, dopo i 12 miliardi del 2021 e i 27 del 2022, l’Italia si trova nella fase del picco: gli investimenti da abilitare assommano “a 36 miliardi nel 2023, a 44 nel 2024 e a 40 miliardi nel 2025. Nell’anno di chiusura del Piano il residuo da impiegare sarebbe invece pari a 30 miliardi. Il picco degli impieghi e dello sforzo in termini di capacità di spesa è atteso dunque per il biennio 2024-2025″.
Un periodo a cui l’Italia arriva con un fardello non indifferente che si può legare, in primo luogo, al sottodimensionamento della capacità organizzativa della Pa. E, in secondo luogo, secondo la Corte dei Conti c’è da sottolineare il fattore tempo, che “ha influito negativamente sulla possibilità di una riorganizzazione amministrativa degli enti che sarebbe stata funzionale alle esigenze di pronta attuazione degli interventi”.
La sfida cruciale? Si chiama inflazione
L’impatto più importante sembra essere stato, in ogni caso, il boom dell’inflazione trainato dalla crisi post-Covid e dalla greedflation, la corsa-monstre dei profitti corporate. Pesata, secondo la Banca centrale europea, per il 45% del totale dell’inflazione accumulata in Europa nel 2021-2022.
In Italia, i prezzi alla produzione dei beni industriali praticati sul mercato interno sono cresciuti del 13,0 per cento nel 2021 e del 42,8 per cento nel 2022, sostenuti dalla componente energetica, che ha registrato aumenti del 33,6 per cento nel 2021 e del 104,3 per cento nel 2022. Questo ha ovviamente influito sul Pnrr. Lo Stato è dovuto intervenire correggendo 8 miliardi di extra-costi del Pnrr nella progettazione con il Fondo Opere Indifferibili, dalla dotazione attuale di 10 miliardi potenzialmente espandibili a 17,8, come riporta la Corte dei Conti. La Corte dei Conti ricorda che mediamente “l’aumento complessivo ponderato dei prezzi si attesta al 12,6 per cento per tali progetti, quindi superiore al totale calcolato per tutto il perimetro, un risultato che segnalerebbe come il contributo del FOI sia andato a compensare il fabbisogno di progetti che hanno sopportato aumenti di prezzo superiori alla media”.
Tale aumento è molto disarticolato al suo interno. I progetti sulle infrastrutture hanno conosciuto un rincaro da inflazione vicino al 4%, le reti di trasporto del 7,5%, il settore energetico del Pnrr addiritutra del 16%. Ma è chiaro che solo in un contesto di calo dell’inflazione in forma strutturale questo dato contestuale potrà migliorare. Mario Draghi e Giorgia Meloni hanno affrontato due anni caldi. Ora la sfida è resistere al biennio clou, che metterà alla prova la sostenibiltià del sistema-Italia. E della sua capacità di vincere la sfida del Pnrr.