Il bipolarismo è morto, viva il bipolarismo. Questa, in somma sintesi, la lezione dei due voti del 10 marzo: le elezioni politiche anticipate in Portogallo, convocate dopo il kafkiano errore giudiziario che ha coinvolto il premier uscente Antonio Costa, e le regionali italiane in Abruzzo. Ovvero: in voti locali spesso esageratamente visti da leader e media come laboratori politici nazionali in Italia si tentano nuove alchimie bipolari mentre un Paese dopo l’altro in Europa va dimostrando che esso è in regressione ovunque.
Come cambia il bipolarismo
Il bipolarismo è sostanzialmente evaporato in Europa proprio a partire dal voto italiano del 2013, segnato dall’ascesa del Movimento Cinque Stelle. La Spagna con l’esplosione di Podemos prima e Vox poi è passata a un sistema poliarchico e a più influenze politiche a destra e sinistra dal 2015 in avanti.
Nel 2017 Emmanuel Macron e Marine Le Pen hanno spazzato via repubblicani e socialisti in Francia. I popolari austriaci (Ovp) hanno dovuto gestire l’ascesa della destra Fpo nello stesso anno, in un sistema divenuto tripolare assieme ai socialdemocratici. Parlare di bipolarismo in contesti come quello di Olanda e Belgio è oggigiorno impossibile, e nel voto del 2021 perfino in Germania Cdu e Spd, che hanno a lungo governato assieme nella Grande Coalizione, hanno dovuto guardare all’ascesa dei Verdi, Afd e altre forze. L’unico voto strettamente bipolare nell’ultimo decennio è stato quello di due Paesi, Grecia e Portogallo.
Il Portogallo lascia il bipolarismo
Vuoi per la necessità di contenere entro la ricerca di soluzioni la protesta elettorale, vuoi per l’assenza di credibili alternative nel campo populista e antisistema, vuoi per l’assorbimento a sinistra delle istanze radicali entro formazioni di ampia partecipazione popolare, Atene e Lisbona hanno conosciuto elezioni sostanzialmente bipolari fino ai giorni nostri. Kyriakos Mitsotakis, guidando la destra di Nuova Democrazia contro l’ex premier Aleixis Tsipras, si è riconfermato premier nel 2023. Il voto portoghese ha visto invece i socialisti calare dal 41 al 28,6%, sorpassati dalla destra di Alleanza Democratica al 29,5%, ma soprattutto il boom dell’ultradestra di Chega, terza col 18,1%.
In un altro Paese, dunque, il bipolarismo si contrae mentre in Italia commentatori e analisti non fanno altro che parlare di un suo ritorno. Le regionali in Abruzzo sono state le più “bipolari” di sempre, almeno nella cosiddetta Terza Repubblica. Due soli candidati, due coalizioni, tutta la coalizione di governo da un lato, tutte le opposizioni dall’altro. Bipolarismo in purezza, nonostante i tentativi di negare l’alleanza di oppositori contradditori come Matteo Renzi e Giuseppe Conte. Il risultato ha premiato il cartello elettorale più omogeneo, il centrodestra.
L’Italia e la nuova dialettica bipolare al ribasso
Il nuovo bipolarismo in via di definizione è il figlio cadetto di quello degli Anni Novanta e Duemila polarizzato attorno alla figura di Silvio Berlusconi. Rappresenta un tentativo di semplificare la difficile convivenza tra la pluralità di forze politiche e di visioni del mondo e l’eredità della sbornia maggioritaria che in trent’anni ha totalmente pervaso l’elettorato italiano. Forse per questo le Regionali attirano così tanto.
Sono l’emblema del voto maggioritario per eccellenza, dove la retorica del “sapere il vincitore il giorno delle elezioni” e del “chi prende un voto più vince” sono totalizzanti. Voti che decidono sostanzialmente per le nomine di direttori di Asst e pochi fondi di coesione diventano l’emblema dei tentativi politici di costruire nuove alchimie.
Il vuoto del centro
Non è un bipolarismo sano, alla britannica, quello che le forze politiche e i media. L’ex dirigente Dc Giorgio Merlo, parlando a Italia Oggi, lo ha definito di fatto come il trionfo della politica del voto contro qualcosa o qualcuno. Il voto nel 2022 ha inaugurato “una nuova stagione politica, dopo la sbornia populista e antipolitica interpretata dal partito populista per eccellenza, i 5 Stelle”, notava Merlo.
Ora, “dopo la vittoria della destra democratica e di governo alle ultime elezioni, il ritorno di una sinistra massimalista, radicale e libertaria nel nuovo corso del Pd, il consolidamento di una sinistra populista e «per caso» del M5S” ha aperto una stagione di polarizzazione che ha fagocitato le forze centriste, come del resto già raccontato su queste colonne.
In quest’ottica si esalta il leaderismo più che il confronto di idee che dovrebbe essere alla base di un sano bipolarismo. La corsa dei leader nazionale a precipitarsi a Cagliari e L’Aquila per portare i loro consensi a Alessandra Todde, Paolo Truzzu, Marco Marsilio e Luciano D’Amico, concorrenti delle ultime due regionali, ha creato un ibrido complesso da governare.
Un bipolarismo plebiscitario
Per Etica Economia le elezioni regionali mostrano la forma più ingannevole della possibilità di dividere in forma bipolare la politica italiana perché oltre alle regole chiare che premiano la convergenza tra forze nel loro voto si trovano a “convivere spinte tipiche del municipalismo locale a carattere notabilare con l’organizzazione molecolare, maturata nel tempo, di esigenze di segmenti di popolazione. Non è neanche da escludere il ruolo di una certa tendenza al plebiscitarismo e a favore del cosiddetto “uomo forte”, che viene identificato magari nel candidato presidente di Regione in assenza di forti leadership nazionali”. Lo stesso vale per i sindaci.
Insomma, adelante cum judicio nell’assolutizzare i dati delle Regionali nel commentare una dialettica politica che si è resa, in realtà, sempre più articolata negli ultimi anni. Il bipolarismo arranca in Europa perché complesse e sempre più difficili da riportare nei vecchi schemi sono le tradizionali dialettiche politiche su temi come l’economia, la ripresa dei Paesi dalle crisi economiche e sociali dell’ultimo quindicennio, la visione della politica estera, la faglia centro-periferia, i valori cardine dell’Occidente. Lo vediamo ogni giorno in Italia.
Il bipolarismo in via di ricostituzione segnerebbe pertanto un sintomo della crisi, e non una soluzione, al vuoto di politica e di risposte complesse a problemi complessi che emerge dall’ultimo lungo decennio di storia italiana. Segnano un’involuzione, e non un rafforzamento, di una sana dialettica democratica. Ciò che invece serve al nostro Paese.