Perché leggere questo articolo? In Italia si è tornati a parlare di “castrazione chimica”. In cosa consiste, dove è praticata nel mondo e cosa comporta in termini di contrasto alla violenza sessuale? Provano a spiegarlo dei medici.
Se n’è tornato a parlare dopo l’orribile violenza di gruppo di Catania. Era stata nuovamente scomodata dopo i tremendi fatti di cronaca di Palermo, e prima ancora per le raccapriccianti violenze di Caivano. Dopo ogni stupro efferato nel dibattito pubblico si torna a discutere di “castrazione chimica“. Dichiarazioni politiche e raccolte firme, iniziative parlamentari e manifestazioni di piazza. Ma di preciso in cosa consiste? Alcuni medici provano a fornire un quadro su questa pratica medica periodicamente proposta per affrontare la questione della violenza maschile sulle donne.
Che cos’è la castrazione chimica
“La castrazione chimica consiste in una terapia farmacologica a base di ormoni, a volte associata a psicofarmaci. Ha l’effetto di ridurre la produzione e il rilascio degli ormoni sessuali, come il testosterone, e di inibire l’azione della dopamina, portando a un conseguente calo del desiderio sessuale. Nella maggior parte dei casi si tratta di un procedimento reversibile, che quindi termina dopo la fine della somministrazione dei farmaci, ma su questo ci sono molti dubbi tra i ricercatori”. Così definisce la pratica al dottoressa Maria Cristina Neri del Pio Albergo Trivulzio di Milano.
Andrea Salonia, urologo, andrologo e esperto di medicina sessuale, aveva già spiegato come fosse possibile, una volta finita la terapia, che il desiderio sessuale non fosse più quello di prima. Il trattamento farmacologico per la castrazione chimica è attualmente riservato in Italia a gravi malattie in prevalenza di natura tumorale e, come ha spiegato l’Agenzia Italiana del Farmaco, ha degli effetti collaterali specifici (riduzione della massa muscolare, importanti effetti negativi sul metabolismo osseo e osteoporosi, anemia) destinati a ripercuotersi sullo stato di salute generale dei pazienti e sulla loro qualità di vita.
Dove si pratica nel mondo
La castrazione chimica è prevista nell’ordinamento giuridico di alcuni stati degli Stati Uniti e, su base volontaria, anche di alcuni paesi d’Europa. Va detto, comunque, che non sono pochi i paesi che ritengono la castrazione chimica una soluzione, anche se all’interno di percorsi medici e previo consenso del soggetto in questione. Sono il Regno Unito, Israele, Portogallo e laNuova Zelanda. Mentre solo in Russia e in Polonia non è necessario alcun consenso per procedere. Il più famoso caso di castrazione chimica della storia è con ogni probabilità quello del matematico Alan Turing, che la preferì alla galera (era il 1952 ed era stato condannato per omosessualità. Nel 1954 deciderà di togliersi la vita).
Nel 2021, in Pakistan, dopo averla inserita come clausola in una legge contro gli stupri, alla fine il governo ha desistito ed è tornato sui suoi passi. Amnesty International, in precedenza, aveva definito la pratica crudele e disumana. “Questa legislazione crudele e disumana non solo viola gli obblighi legali internazionali e costituzionali del Pakistan. Inoltre, non farà nulla per affrontare il flagello della violenza sessuale. Piuttosto che aumentare le punizioni, le autorità dovrebbero affrontare i problemi profondamente radicati nel sistema di giustizia penale che invariabilmente negano la giustizia alle vittime. La castrazione chimica non risolverà una forza di polizia carente o investigatori inadeguatamente formati“.
Storia del dibattito pubblico sulla castrazione chimica in Italia
Quello della castrazione chimica è un argomento che torna periodicamente nei discorsi di politici, quasi tutti di destra. La prima volta che il tema della castrazione chimica uscì dai più sadici circoli di aspiranti vendicatori della notte per diventare materia di dibattito tra le forze politiche era il 2002. A lanciare l’idea fu l’allora vicepresidente del Senato Roberto Calderoli che proponeva di utilizzare questa misura contro i pedofili: somministrare farmaci e trattamenti ormonali teoricamente in grado di inibire il desiderio sessuale in modo da bloccare ogni problema alla radice. Ai tempi ancora non c’era dibattito sull’origine della violenza sessuale, pochissimi parlavano della sua natura socioculturale.
Lo sdegno unanime di tutte le forze politiche non impedì a Calderoli di farsi negli anni promotore di iniziative legislative sul tema. Nel 2008 il leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini rilanciò il tema con un’intervista al Tg1 nella quale sosteneva che evirare i pedofili fosse un buon modo per inibire le loro “tentazioni, le pulsioni”. Incredibilmente l’allora segretario del Pd Walter Veltroni offrì una sponda con una delle sue solite lunghissime perifrasi a base di “ma anche”, nel tentativo – poi rivelatosi vano, anzi rovinoso – di inseguire la destra sui suoi temi in ottica elettorale. “Non c’è nessuna certezza che questo metodo funzioni come ha spiegato il professor Garattini, uno dei massimi esperti di farmacologia in Italia – disse Veltroni -. Ma se la scienza ci mettesse nelle condizioni di trovare un metodo efficace non vedo perché non ricorrervi. Ma allo stato delle cose non abbiamo la certezza che la castrazione chimica sia efficace”.
Una pratica incostituzionale…
Nel 2019 in un articolo sul Messaggero anche Carlo Nordio, oggi ministro della Giustizia nel governo Meloni, si era opposto alla proposta di adozione della castrazione chimica lanciata da Salvini. Aveva spiegato che nella proposta della Lega di allora la castrazione sarebbe stata opzionale per il condannato: accettarla avrebbe rappresentato un’alternativa al carcere. Ma questo, scriveva Nordio, avrebbe sovvertito “completamente la struttura del nostro codice e della Costituzione” dove la pena ha una funzione retributiva e rieducativa.
Sempre nel 2019, il giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese disse che “intervenire sul corpo di una persona” con la castrazione chimica sarebbe stato “inumano e contrario alla dignità umana”: dunque incostituzionale. L’altra critica che Nordio aveva fatto nel 2019 alla proposta di Salvini aveva a che fare con la provvisorietà della pratica e dunque con la sua conseguente inefficacia: “Una volta esaurito il tempo di espiazione e “di cura” la pericolosità infatti riemerge, probabilmente potenziata dal noto effetto contrario conseguente all’interruzione della somministrazione del farmaco”.
…e inefficace
Alle questioni politiche e legali, si aggiunge infatti un’altra critica – non da poco. La castrazione chimica risulta inefficace allo scopo proposto. Si basa infatti su una lettura completamente sbagliata del fenomeno della violenza di genere, che ha un’origine culturale e sociale, non biologica. Il sesso non è cioè il nodo della questione, e inibire il desiderio sessuale non risolverebbe un comportamento sessuale violento o inappropriato. Lo affermano movimenti femministi e chi si occupa di violenza di genere: la violenza è principalmente una questione di potere nelle relazioni tra i generi che è sistemica nella società. E lo ribadiscono i criminologi. Paolo Giulini fa notare come “la castrazione chimica potrebbe comportare un rischio di deresponsabilizzazione della persona coinvolta, portandola a credere di poter attribuire la propria condotta a un fattore “biologico” e non a una scelta che, nella maggior parte dei casi, è consapevole”.