I conflitti sulla terra continuano, nonostante la pandemia; la competizione per la ripresa economica e per accaparrarsi vaccini; gli alleati che si allontanano e i rivali di ieri che oggi possono rappresentare occasioni di interscambio. In un mondo sempre più frammentato, la diplomazia gioca un ruolo sempre più cruciale negli equilibri geopolitici, economici e sanitari del nostro paese.
Andrea Muratore – analista indipendente specializzato in questioni economiche, scenari internazionali e trend globali, analista geopolitico per Inside Over e ricercatore dell’Osservatorio Globalizzazione, un tink thank che si occupa di geopolitica – analizza lo stato della diplomazia italiana, il suo peso nel mondo e i nomi che contano e conteranno nelle nostre ambasciate in giro per il mondo.
Qual è lo stato e il peso del nostro corpo diplomatico?
Il nostro corpo diplomatico vanta un eccellente stato di salute e, anche se può sembrare controintuitivo, un peso che è andato crescendo negli anni nonostante il depotenziamento politico a cui è stata soggetta la Farnesina nei decenni della Seconda Repubblica e in particolare nell’ultimo decennio. Il crescente peso che di fatto Palazzo Chigi ha acquisito nella vita politica italiana ha portato ad appiattire sul Presidente del Consiglio l’elaborazione di politica estera. Se guardiamo agli ultimi decenni, infatti, a parte poche eccezioni (Frattini nei governi Berlusconi, Gentiloni in quello Renzi) la posizione di Ministro degli Esteri è stata spesso appaltata a figure di secondo piano dei partiti, a controfigure dei premier o a esponenti di formazioni minori, come segnalato dai casi Alfano e Bonino. Il caso Di Maio si pone invece a metà strada. La Farnesina però è continuata a funzionare come macchina amministrativa, apparato di coordinamento della diplomazia, punto di riferimento dei cittadini italiani all’estero, centrale informativa grazie all’Unità di Crisi. La cui ex direttrice, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, è stata la vera stratega della Farnesina negli anni da segretario generale. Maturando una dimestichezza con le questioni della sicurezza nazionale tanto elevata da esser stata scelta di recente da Mario Draghi come direttrice del Dis, l’organismo di coordinamento dei servizi d’informazione e sicurezza repubblicani.
Che impatto ha avuto la tragica uccisione di Luca Attanasio, ambasciatore in Congo, lo scorso febbraio?
Il caso Attanasio è prima di tutto un problema securitario, geopolitico e d’intelligence. Su questa vicenda sussistono enormi coni d’ombra che vanno chiariti e domande a cui andrà data risposta. Sotto il profilo diplomatico, ha colpito soprattutto la vicenda umana del giovane ambasciatore, mandato a gestire una legazione tanto delicata ma privo dei dovuti controlli di sicurezza nel momento dell’azione che ha condotto alla sua morte.
Quali sono le ambasciate più importanti e ambite della nostra diplomazia?
Seguono la traiettoria dei riferimenti geopolitici del Paese. Sicuramente il quintetto di riferimento è quella Stati Uniti-Vaticano-Francia-Germania-Unione Europea. Il perimetro di riferimento è chiaro, e non è un caso che ci sia spesso un’intercambiabilità tra i diplomatici chiamati a ricoprire queste legazioni. Gli Usa sono alleato e patrono imprescindibile per la politica estera italiana; Francia, Germania e Ue punti di riferimento chiave per il dialogo in campo comunitario; e il Vaticano un attore con cui lo scambio diplomatico è sempre stato osmotico. Tali legazioni, come detto, sono spesso affidate a diplomatici di assoluta fiducia delle istituzioni, custodi del posizionamento del Paese in campo euro-atlantico e abili a gestire situazioni di confronto continuo con apparati politico-economici e gruppi di pressione di elevata importanza, dall’intelligence Usa alla Bundesbank, passando per la Segreteria di Stato vaticana e il sistema francese di capitalismo finanziario. Per fare qualche esempio su questa intercambiabilità: Armando Varricchio, ex ambasciatore d’Italia a Washington (2016-2021) da poche settimane è giunto a Berlino, in sostituzione di Luigi Mattiolo, chiamato da Draghi come consigliere diplomatico. Il premier in questa impostazione ha seguito la linea di Giuseppe Conte, che nel medesimo ruolo aveva scelto Piero Benassi, l’ambasciatore italiano in Germania che gli aveva facilitato il dialogo con la cancelliera tedesca Angela Merkel, prima di nominarlo il 21 dicembre scorso come sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega ai Servizi. Ebbene, Benassi non è stato dimenticato da Draghi che lo ha nominato Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea. Altre legazioni di peso sono quelle delle grandi potenze con cui l’Italia deve cercare un confronto continuo: essenzialmente, parliamo di Cina, Russia, India e Turchia.
Chi sono le giovani promesse tra gli ambasciatori italiani?
Luca Attanasio era un’eccezione che confermava una regola: la “giovane età” per un ambasciatore è spesso superiore ai 40 anni. Edoardo Pucci, oggi ambasciatore in Salvador, è stato accomunato ad Attanasio dal fatto di aver ricoperto l’incarico in Congo in giovane età; inoltre, questi mesi di studi mi hanno permesso di venire a conoscenza della storia personale e professionale di due giovani consoli, Yara Romanova, consigliere per la stampa e la cultura a Teheran, in un Iran con cui il dialogo non deve assolutamente essere interrotto, e Elettra Verrone, console generale a Tunisi, capitale di frontiera e decisiva per i rapporti tra Italia e mondo africano ed arabo.
Come si diventa ambasciatori? Quali sono le tappe fondamentali per una carriera diplomatica?
L’accesso alla carriera diplomatica propriamente detto avviene per mezzo di un concorso duramente selettivo che impone forti studi in materie come la storia, le relazioni internazionali, il diritto, le lingue. Chi risulta vincitore di quello che per gli studenti di relazioni internazionali è il “Concorso” per antonomasia ottiene la qualifica di segretario di legazione e inizia un periodo di formazione alla Farnesina e nelle legazioni italiani nel mondo. Per ottenere la prima promozione, è necessario aver prestato servizio all’estero per almeno 4 anni in una sede al di fuori dell’area euro-atlantica. Seguono le cariche di Consigliere di Legazione, Consigliere d’Ambasciata, Ministro Plenipotenziario, Ambasciatore con scatti di carriera che possono avvenire tra i 4 e i 10 anni dopo la permanenza nel ruolo. Questo sulla carta, chiaramente: le esigenze sul campo o la carenza d’organico spesso impone supplenze di sedi ben più prolungate.
Come è cambiato il cursus honorum dentro la diplomazia negli anni?
I diplomatici sono sempre più chiamati, complice il declino politico della Farnesina, a farsi portavoce dell’interesse nazionale, a studiare i dossier strategici con attenzione, a essere presenti sul campo. La vera palestra sono i teatri caldi, quelli in cui la diplomazia si confronta con situazioni di disagio e complessità. Non serve evocare il caso Attanasio, dall’Europa al Medio Oriente e all’Africa le situazioni in cui un giovane diplomatico può formarsi sono numerose. Le legazioni più prestigiose saranno in futuro sempre più appannaggio di chi fin dalla giovane età ha mostrato dimestichezza con dossier bollenti.